‘Presentazione’
di P. Pasqualucci a: R. Kaschewsky, Tendenze nelle orazioni del Nuovo
Messale – I cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive.
N o t
a p r e v i a
Pubblico in anteprima la breve ‘Presentazione’
che ho scritto all’importante studio del periodo 1980-82 elaborato dal prof.
Rudolf Kaschewski (1939-2020), sulle variegate manipolazioni subite dai testi
latini liturgici tradizionali utilizzati dagli artefici della Messa del Novus
Ordo. Il saggio completo apparirà tra
breve sul blog ‘Chiesa e Postconcilio’.
* *
La
Nuova Messa in vernacolo, costruita a tavolino dopo il Concilio Vaticano II
grazie anche alla “consulenza” di esperti protestanti, al fine di consentire
una maggiore partecipazione dei fedeli al rito trasformandolo in senso “comunitario”;
al fine di improntarlo ad uno spirito cosiddetto “ecumenico” o di apertura ai
non-cattolici e persino ai non-cristiani, si è servita anche dei testi
tradizionali in latino che da tanti secoli intessono il rito romano antico, modificandoli
ampiamente: rito il cui Canone risale ai tempi apostolici, secondo l’opinione
costante dei Romani Pontefici. Questa
manipolazione è per forza di cose passata inosservata presso la gran parte dei
fedeli. Ma non possiamo e non dobbiamo ignorarla. Al contrario, dobbiamo
renderla nota a tutti, in modo che il tradimento della fede che essa testimonia
resti agli atti: non solo per
documentare l’intenzione perversa che animava i responsabili del nuovo rito, ma
anche per render i fedeli edotti della necessità di abbandonare un rito così
manipolato, niente affatto in armonia con la bimillenaria tradizione liturgica
della Chiesa.
Pertanto,
si pubblica qui la traduzione italiana della prima parte del magistrale saggio
(scritto tra il 1980 e il 1982) del professore tedesco Rudolf Kaschewski
(1939-2020), che per l’appunto dimostra la frequente trasformazione degli
antichissimi testi delle Orazioni
incluse nella S. Messa domenicale e festiva, attuata in vari modi: con manipolazioni annacquanti o stravolgenti
il testo originario, omissioni, tagli a passi dei Vangeli da leggere nelle
chiese in quelle stesse Messe.
Nell’incipit
del suo accuratissimo studio, il prof. Kaschewski si riallaccia ad una documentata
denuncia delle trasformazioni e manipolazioni già fatta da mons. Georg May,
teologo e canonista tedesco, professore di diritto canonico all’Università di
Mainz, nato nel 1926, prelato pontificio (nominato protonotario apostolico
sopranumerario da Benedetto XVI), in un suo libro che risale addirittura al
1975: Die alte und die neue Messe [L’antica e la nuova Messa], Düsseldorf,
1975. Mons. May esortava ad “un
confronto letterale della Nuova Messa con la Santa Messa Cattolica”. Questo confronto il prof. Kaschewski lo ha
fatto cominciando con l’indagare sulle “orazioni domenicali e festive”. Questo il quadro da lui messo a fuoco:
“L’analisi
delle orazioni si articola su tre livelli:
1. Alcune orazioni sono state trasportate dal Missale alla Nuova
Messa; tuttavia, già nel testo latino [come appare nel Nuovo Messale]
sono state apportate modifiche molto tendenziose, che devono essere
analizzate. 2. Si possono collazionare e confrontare da una
parte le orazioni completamente cancellate e dall’altra quelle introdotte ex
novo. 3. Infine, la “traduzione” in lingua vernacolare
costituisce un vasto campo per un’indagine sua propria, a causa di una distanza
dall’originale così totale da farsi beffe anche delle basi più elementari di
ogni elaborazione filologica del testo.
Ciò dimostra non solo che le (poche) orazioni trasposte immutate dal
vecchio Missale al nuovo Messale
latino , sono state tradotte reinterpretandole in parte in modo quasi grottesco; dimostra
inoltre che le nuove orazioni latine sono state tradotte in modo da
apparire talvolta spogliate anche dell’ultimo residuo delle credenze originarie“.[1]
Ma
chi era il prof. Kaschewski? Mi sembra
doveroso illustrare brevemente la sua notevole figura di studioso, pur
disponendo solo di scarni dati.
Nato
il 16 aprile 1939 a Colonia, morto il 4 dicembre 2020 a Sankt Augustin, presso
Bonn, fu soprattutto “mongologo e tibetologo”.
Eccezionale conoscitore delle lingue antiche, inclusi ebraico e arabo,
si specializzò nelle antiche lingue mongole e tibetane, senza trascurare il
cinese e l’antica cultura indiana.
Ottenne anche il diploma in teologia cattolica nel 1963.
“Il
suo campo specifico era costituito dai problemi connessi alle traduzioni di
testi mongoli e tibetani (terminologia, sintassi), dal rapporto tra antiche e
moderne traduzioni in lingua mongola, confrontate con la formazione delle
traduzioni greche e latine dei Salmi ebraici (varianti al testo nei Commentari
ai Salmi di Agostino); dai paralleli fra la Scolastica medievale cristiana e la
Scolastica buddistico-tibetana”.[2]
Come
si vede, uno studioso dall’eccezionale cultura e preparazione filologica, anche
dal punto di vista del metodo, campo nel quale gli studiosi tedeschi sono
sempre stati molto ferrati. Ma il prof.
Kaschewski seguì attentamente anche la crisi apertasi nella Chiesa con il
Concilio Vaticano II. Quest’aspetto della
sua personalità fu illustrato nell’omelia tenuta da Padre Franz Schmidberger della FSSPX in
occasione del suo funerale. Cattolico
praticante, devoto padre di famiglia, il prof. Kaschewski, iniziatasi la
devastante crisi postconciliare, si è subito distinto nella difesa della vera
liturgia cattolica. Dal 1983 al 2009
redasse e pubblicò Una Voce-Korrespondenz, sezione tedesca della rivista
mensile plurilingue della benemerita associazione internazionale Una Voce
costituitasi nel 1966 per impulso di autorevoli personalità della cultura europea, dedita alla difesa e conservazione della Liturgia
cattolica tradizionale. Egli vi si
distinse per alcuni articoli scientificamente critici della nuova liturgia. Nel 1988,
sostenne pubblicamente le Consacrazioni episcopali fatte da mons. Marcel
Lefebvre senza mandato pontificio a fine giugno di quell’anno, unico rinomato
intellettuale tedesco a farlo.[3]
Da
parte mia voglio ricordare il valido contributo da lui offerto, in campo
canonistico, con un breve ma incisivo articolo sul concetto dello stato di necessità,
pubblicato nel numero di marzo-aprile 1988 di Una Voce - Korresponenz, nel quale dimostrava, a mio
avviso in modo inoppugnabile, come, proprio secondo il diritto vigente della
Chiesa, la scomunica latae sententiae non potesse applicarsi a una
consacrazione vescovile fatta senza mandato pontificio ma nella convinzione di
trovarsi in stato di necessità.[4]
L’opera
qui tradotta, come si è detto, costituisce la prima parte di uno studio sulle
“tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale”.
Lo studio si divide in due parti:
I. Cambiamenti nel testo latino
delle orazioni domenicali e festive;
II. Le traduzioni in tedesco
delle orazioni domenicali e festive.
Questa
seconda parte, che non viene al momento pubblicata, si presenta più complessa
da rendere in italiano, dedicata com’è alle traduzioni in tedesco delle
orazioni. Tuttavia, anche qui emergono
dati molto interessanti, non solo nel testo ma anche nelle tre Appendici,
nelle quali il prof. Kaschewski raccoglie :
(I)
le parole latine la cui traduzione letterale è stata eliminata (adorare, aeternus,
arcanum, caelestis, devotio, gratia, maiestas, propitiatio, etc., per un totale
di 100);
(II)
le parole tedesche inserite nelle traduzioni, prive di ogni equivalente nel
latino (pane [Brot] al posto di mysterium, sacramentum; pienezza
dello Spirito [Fülle des Geistes]; tavola [Tisch]; Casa del Padre [Vaterhaus]; segno [Zeichen]
nel senso di mysterium, etc., per un totale di 31);
(III)
I 22 tagli apportati ai passi di Vangeli letti nelle Messe domenicali e festive.
Ad esempio, di Matteo non vengono più letti: l’ammonimento sui falsi profeti; i Figli del
Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove saranno pianto e stridor di
denti; la tempesta sedata; indissolubilità del matrimonio; Cristo Figlio di
Davide, etc.; --- di Marco, la
moltiplicazione dei pani; --- di Luca, la profezia su Giovanni Battista;
la parabola del seminatore; la cacciata di uno spirito maligno; la predizione
della Passione; il pianto sopra Gerusalemme; la parabola del fico che mette i
germogli, concludentesi con le parole “il cielo e la terra passeranno ma le mie
parole non passeranno”, etc. ; --- di Giovanni, la guarigione del figlio
di un dignitario di corte; fare la volontà del Padre per esser risuscitati
l’ultimo giorno; “questo linguaggio è duro, chi lo può ammettere?”; chi è il
principe di questo mondo; il c.d. “discorso d’addio” del Signore agli Apostoli
(Giov 16, 23-30); etc.
I
tagli e le omissioni erano, evidentemente, necessari per poter far leggere
nelle chiese brani dei Vangeli m u t i l
a t i, indispensabili al fine di confezionare
l’immagine edulcorata, irenica, caramellosa e in definitiva del tutto falsa ed
ingannevole del Cristianesimo che piace allo spirito neo-modernista affermatosi
nel Concilio.
* *
Il
riferimento ai 22 tagli scoperti dal prof. Kascewski l’ho trovato diversi anni
fa in Iota Unum di Romano Amerio, nel cap. XXXVIII, dedicato alla
riforma liturgica. Nel § 288 Bibbia
e liturgia, Amerio critica giustamente la pretesa conciliare di mettere tutti
a contatto diretto, più ampio con la Bibbia (costituzione Sacrosanctum
Concilium sulla liturgia, artt.
35, 51; costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, artt.
22, 25), intendendosi con Bibbia soprattutto l’Antico Testamento, che infatti
nella Messa Novus Ordo viene sempre letto in terza battuta, appesantendo
enormemente e senza motivo la cosiddetta “liturgia della Parola” . Amerio annota che in tal modo si è capovolta
l’impostazione secolare della Chiesa, volta sempre ad un lettura “ristretta”
del Testo Sacro, comunque sempre mediata dall’interpretazione costruita nei
secoli dalla Chiesa, diffusa già nella sua omiletica intessuta di citazioni
bibliche.[5]
“La
disciplina della Chiesa in questa materia poggia sopra una qualità innegabile
della Bibbia. La Bibbia è un libro difficile
e contiene e celebra fatti che esigono molte cognizioni per essere
riconosciuti nel loro significato morale e che riescono scandalosi alla comune
degli uomini. Tali sono la meretrice di
Osea, Oolla e Ooliba in Ezechiele, la gesta proditoria di Giuditta, l’incesto
di Thamar, l’adulterio di Davide, gli sterminii dei herem […] Che difficile sia la Bibbia e per ragioni
filologiche e per ragioni storiche e per ragioni morali, lo si può provare ad
apertura di libro, e lo attesta di sé la Bibbia medesima. In Eccle., I, 8 si annuncia la
difficoltà generale del linguaggio:
“Cunctae res difficiles; non potest eas homo explicare sermone”. Ma II Petr., 3, 16 afferma in
particolare la difficoltà di alcuni luoghi di san Paolo e in universale di
tutta la Bibbia, sempre possibile a stravolgersi: “in quibus sunt quaedam difficilia
intellectu, quae indocti et instabiles depravant sicut et caeteras
Scripturas”.
Peraltro
la prova perentoria che la Scrittura è difficile e non universalmente
divulgabile, è data paradossalmente dalla presente riforma medesima. Essa invero ha fatto nei testi biblici quello
che fu fatto per i classici latini nelle edizioni espurgate ad usum Delphini,
ma che non fu mai osato per il sacro testo.
La riforma ha infatti stralciato dai Salmi cosiddetti
imprecatorii i versicoli che sembrano incompatibili colle vedute ireniche del
Concilio, mutilando il sacro testo e sottraendolo per così dire furtivamente
alla cognizione di tutti, chierici e laici.
Ha inoltre espunto interi versicoli dai testi del Vangelo nelle Messe in
22 punti che toccano il giudizio finale, la condanna del mondo, il peccato”.[6]
E continuava Amerio, ribadendo una verità che
oggi sembra essersi smarrita: “Per le
difficoltà linguistiche e storiche, per la molteplicità dei sensi, teorizzata
dalla teologia, e per il principio cattolico che la Chiesa possiede le Scritture
e (a differenza della Sinagoga) anche il senso delle Scritture, la
disciplina della Chiesa prescriveva che la Bibbia si porgesse al popolo di Dio
per la mediazione del sacerdozio; che si discernessero le parti da divulgare e
quelle da riservare; che in generale la cognizione del sacro testo avvenisse
solo attraverso la liturgia, la catechesi e l’omiletica; che per testo ufficiale
e autentico fosse ritenuta la sola Vulgata e su di essa si fondassero le
traduzioni; e infine che le volgarizzazioni fossero tutte autorizzate e
accompagnate da chiose interpretative secondo il senso della Chiesa. Questa disciplina è stata variata…”.[7]
Variata,
con le disastrose conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
* *
Le
mutazioni nelle antiche preghiere liturgiche della domenica e dei giorni
festivi nonché il significato sottilmente ammodernante delle novità introdotte,
sono documentate in modo impressionante nel saggio del prof. Kaschewski. Ne offro qui una breve silloge.
La
“nascita di Nostro Signor Gesù Cristo” diventa “la nascita del Redentore”. Tende di fatto a scomparire l’espressione
antichissima: “Nostro Signor Gesù
Cristo”. Così si attenua il concetto che
il Redentore è nello stesso tempo il Signore, che un giorno verrà nella sua
Gloria a giudicarci tutti. Gesù è il
Redentore senza esser più il Signore.
“Signore
Gesù, facci imitare la Tua Santa Famiglia” (forma antica) diventa: “Padre clementissimo, facci seguire l’esempio
della Sacra Famiglia”. In questo, come
in altri luoghi, si tende ad attribuire al Padre l’azione salvifica del Figlio,
oscurando pertanto la nozione della S.ma Trinità.
“Omnipotens
Deus” diventa “misericors Deus”.
“ I
doni dei tuoi popoli”diventa “i doni del tuo popolo”.
“Tuo
Figlio, l’autentica pietra angolare”, diventa semplicemente: “Tuo Figlio”. Scompare il “profondo simbolismo” secondo il
quale Cristo è diventato la "pietra angolare”, che regge tutto l’edificio.
“Che
Egli sottometta ad essa [ossia alla Chiesa]
Principati e Potestà” : questa parte dell’antica orazione è stata
semplicemente cancellata.
“Ci
guidi e ci protegga”, diventa: “e
diventi causa di ricompensa eterna per coloro che agiscono obbedendo alla Tua
volontà”.
“Hai
concesso ai Tuoi servi la grazia, nella confessione..” diventa: “dacci [la
grazia] nella confessione..”. Il “tuoi
servi” viene sostituito da un banale “noi”.
Nella
“preghiera di benedizione” del Venerdì Santo, è stato omesso il riferimento
alla passione; infatti, “che…la passione e la morte di Tuo Figlio…ha
ottenuto” diventa “che…la morte di Tuo
Figlio…ha ottenuto”.
Da
notare in particolare questa variazione, ottenuta cambiando una sola
parola: “affinché, per opera della Tua
bontà paterna, noi diventiamo un cuore solo” (tua
facias pietate concordes)
diventa: “affinché noi diventiamo un cuore solo all’interno dello stesso
amore” (una facias pietate concordes).
Il mutamento di significato avviene passando da tua pietate a una
pietate. Sottolinea il prof. Kaschewski: “mentre nel testo antico originale
si intende la bontà paterna di Dio (attraverso la quale e in cui anche gli
uomini devono essere uniti tra loro), nel nuovo testo è l’affetto reciproco che
dovrebbe realizzare l’unità: il
livellamento da una relazione verticale a una relazione orizzontale è qui
particolarmente chiaro”.
Si è
abbandonata la “richiesta di perdono per i nostri peccati” perché considerata
troppo “generica”, idea del tutto assurda, osserva il prof. Kaschewski. Per cui:
“e purificaci dalle macchie dei nostri peccati” diventa: “mostrandoci la
vita nella verità e promettendoci la vita del Regno dei Cieli”.
“Ci
hai salvati dal cadere nella morte eterna” diventa “ci hai salvati dalla
schiavitù del peccato” – l’idea della “morte eterna” ossia della eterna dannazione
del peccatore impenitente viene silenziata.
“Ci
hai restaurati attraverso la sofferenza e la morte del Tuo Cristo” diventa “ci
hai restaurati per mezzo della morte e risurrezione salvifica del Tuo
consacrato”. La sofferenza di Cristo
viene cancellata.
“disprezzare
le cose terrene e amare quelle celesti” (terrena despicere et amare
caelestia) diventa “valutare saggiamente le cose terrene e connettersi a
quelle celesti” (terrena sapienter perpendere et caelestibus inhaerere): il compromesso con il mondo, l’infame
“apertura” ai suoi falsi valori.
“Alla
nostra pace eterna” diventa “alla vera pace e alla liberazione di tutti”.
“L’invocazione
del Tuo Santo Nome” diventa “ l’invocazione del Tuo Nome”. Dall’invocazione del Santo Nome di Gesù
scompare dunque il “santo”.
Le preghiere
di intercessione per la conversione dei non-credenti di tutte le specie
vengono trasformate in modo incredibile, facendo capire che non si vuole più
convertire nessuno. Continua il prof.
Kascewski:
“Se
prima si pregava per “tutti i falsi maestri e scismatici” (pro haereticis et
schismaticis) ora lo si fa eufemisticamente “per tutti i fratelli che
credono in Cristo”. Pertanto, Dio non
avrebbe più bisogno di “salvarli da tutti i loro errori” (eruat eos ab
erroribus universis), ragion per cui si prega che Egli “raccolga e
conservi” in una sola Chiesa “coloro che compiono la verità” (veritatem
facientes)”. Osservo: cosa
significhi “compier la verità” non si saprebbe esattamente dire. Comunque, è chiaro che questo “raccogliere e
conservare” eretici e scismatici in uno con i cattolici “avviene a favore di una Chiesa che non può essere quella cattolica
ma solo una Chiesa che non si può definire con maggior esattezza (una ecclesia)”.
Dell’azione
del Demonio si vuol far perder ogni traccia:
“E
mentre in passato le anime degli erranti erano considerate “ingannate dalle
astuzie di Satana”(animas diabolica fraude deceptas), questo riferimento
è ora del tutto assente; si afferma solo, in modo molto ottimista, che tutti
sono stati “santificati” da un “unico battesimo” (quos unum baptisma sacravit)”.
Particolarmente
grave lo stravolgimento delle preghiere di conversione per gli ebrei.
“La
preghiera per gli ebrei non afferma più di chiedere la loro conversione (conversione),
affinché “Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori”(Deus et Dominus
noster auferet velamen de cordibus eorum).
Tutto ciò è stato rimosso. Si è solo ribadito – di nuovo, in modo assai
ottimista – che “Dio ha parlato a loro per primi” (ad quos prius locutus est). Ciò è assolutamente vero, ma gli ebrei non
accettano il fatto decisivo che Cristo è il Messia, ed è per questo che
dovremmo pregare affinché lo facciano!”.
Ovviamente,
“non si prega più nemmeno per la conversione dei non credenti ma in generale
“per tutti coloro che non credono in Cristo”, senza nominare la conversione. Il testo antico originale diceva : “affinché
abbandonino i loro idoli e si rivolgano al Dio vivo e vero” (ut relictis
idolibus suis convertantur ad Deum vivum et verum). Oggi, in un momento in cui sono già molti
coloro che stanno introducendo idoli e testi pagani nel culto (e lo chiamano
acculturazione del Vangelo), questa preghiera non viene più recitata ma si
chiede, in modo più astratto, “che anche i non-credenti, illuminati dalla luce
dello Spirito Santo, siano capaci di entrare nella via della salvezza”(ut
luce sancti spiritus illustrati viam salutis et ipsi valeant introire),
senza menzionare concretamente quali sono le conseguenze logiche e morali,
ossia che ciò presuppone come condizione l’abbandono della loro religiosità
pagana!”
L’illustre
autore scriveva queste cose agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quarant’anni
fa. La pratica perversa d’introdurre
“idoli e testi pagani” nel nostro culto, solo
occasionalmente e blandamente censurata, è andata tanto oltre da
costringerci ad assistere alle oscene, blasfeme cerimonie pagane addirittura nella
stessa Basilica di S. Pietro, tre anni fa, quando papa Francesco, con gran
codazzo di dignitari ecclesiastici, sciamani e sciamane, fece celebrare,
prendendovi parte, il culto dell’idolo andino ligneo detto Pachamama,
nel silenzio complice della quasi totalità della gerarchia!
[1] Rudolf Kaschewski, Tendenze nelle orazioni del
Nuovo Messale, I, Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali
e festive; tr. it. di Antonio Marcantonio, pp. 1-2; da : Una
Voce-Korrespondenz, Deutschland e.V., 10.Jahrgang, Heft 5 –
September/Oktober 1980. Titolo dell’originale:
Tendenzen in den Orationen des Neuen Missale, I – Änderungen im
lateinischen Text der Sonn-und Feiertagsorationen. Si ringrazia la direzione di UVK-Deutschland per
aver gentilmente autorizzato la presente traduzione. Il testo consta di un articolo di 35 pagine
formato A4, preceduto da una ‘Premessa’ (Vorbemerkung) della Redazione
della rivista, di una pagina.
[2]
Rudolf Kaschewski, de.wikipedia. org.
[3] Ansprache zur
Beerdigung von Herrn Dr. Rudolf Kaschewsky, 15. Dezember 2020 in St.
Augustin/Bonn; gloria.tv/post-de.news.
[4] Rudolf Kaschewski, Au
sujet de la consécration épiscopale sans mandat pontifical, tr. fr. in
Courrier de Rome (a cura di), La tradition ‘excommuniée’, Paris,
1989, pp. 51-57. Si tratta di una
raccolta di articoli e saggi. L’identica
tesi fu sostenuta nel 1995 dall’allora giovane canonista americano, P. Gerald
Murray in una “tesina di licenza” in diritto canonico presentata alla
Pontificia Università Gregoriana e approvata dai suoi professori. Il P. Murray, sempre in base al diritto
canonico vigente, negava anche il “significato scismatico” attribuito da
Giovanni Paolo II alla disobbedienza di mons. Lefebvre.
[5] Romano Amerio, Iota
Unum. Studio delle variazioni della Chiesa nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli,
19862, pp. 537-538. Ricordo che la numerazione dei paragrafi nel
libro di Amerio è progressiva dall’inizio.
[6] Op. cit., pp.
538-539. In nota, Amerio rinviava per
l’appunto all’articolo del prof. Kaschewski,
qui tradotto (UVK, 1982, n. 2/3). Si
trattava tuttavia della seconda parte di esso, che speriamo di poter
tradurre in un prossimo futuro.
[7]
Op.cit., p. 539.