Letture
Cattoliche
A cura di
Paolo Pasqualucci
4 -
La vera devozione cristiana
N o t a - Dopo
aver riportato due capitoletti della Filotea, la cui redazione
definitiva è del 1619, mi sembra opportuno esporre le pagine nelle quali san Francesco
di Sales (savoiardo, 1567-1622, canonizzato nel 1665, dichiarato Dottore
della Chiesa da Pio IX nel 1877) espone il giusto concetto della devozione cristiana
ossia di come debba effettivamente intendersi una vita devota.
Nella
Prefazione dell’opera (vedi Letture Cattoliche 2) il Salesio
dichiara di non voler scrivere un testo per monaci o comunque mistici bensí un
testo per le persone comuni, alla portata di tutti. Nel cap. I della I parte, intitolato In
che consista la vera divozione, egli espone il concetto della vera
devozione. Giova ricordare che l’opera
nacque per iniziativa di “un’anima veramente ricca di onore e di virtù”, come
scrive egli nella Prefazione, senza darle un nome: si trattava, ci
informano gli studiosi, di Madame de Charmoisy, il cui marito era parente del
Santo e gentiluomo del Duca di Nemours.
La nobildonna, molto religiosa, aspirava alla vita devota e aveva
richiesto al Salesio di dirigerla sul modo retto di attuarla. Ciò comportò da parte di quest’ultimo
l’elaborazione di una serie di appunti e memorie, dalle quali nacque il
presente, classico testo (Filotea, cit., Prefazione, pp.
XVII-XVIII).
* * *
“Tu,
o carissima Filotea, aspiri alla divozione, perchè sei cristiana e sai che
questa è una virtù sommamente gradita a nostro Signore: ma per evitare quei piccoli sbagli che sono
facili a commettersi sul principio di un affare e ingrossano poi a mano a mano
che si va avanti, sinchè alla fine diventano quasi irreparabili, è necessario
prima di tutto che tu conosca bene che cosa sia la virtù della divozione;
poichè una sola essendo la vera e trovandosene un gran numero di false e vane,
se non hai subito un’idea precisa della vera divozione, potresti cadere in
errore e perderti dietro a qualche pratica futile e superstiziosa.
Arelio
in tutte le figure che dipingeva, dava alle facce la fisionomia delle donne da
lui amate [Plin., Hist. nat., XXXV, 10 (37)]; così ognuno si rappresenta
la divozione conforme alle sue tendenze e alle sue fantasie. Chi è dedito al digiuno si crederà, digiunando,
di essere un gran divoto, quand’anche abbia il cuore pieno di
risentimenti; sicchè, mentre per
sobrietà non osa bagnare la lingua nel vino e fin nell’acqua, non ha poi scrupolo d’immergerla nel sangue del
prossimo con la maldicenza e la calunnia. Un altro s’immaginerà di essere divoto, perchè
recita ogni giorno una filza di preghiere, sebbene poi la sua lingua si lasci
andare a parole dure, arroganti e ingiuriose con quei di casa e con i vicini. Quell’altro tira fuori volentieri dal
borsellino la limosina da dare ai poveri, ma non è buono a cavare dal cuore un
tantino di dolcezza con cui perdonare i suoi nemici; altri, invece, perdonerà ai nemici, ma perchè
soddisfaccia a’ suoi creditori, ci vorrà tutta la forza della giustizia. Questi tali passano comunemente per
divoti; ma non sono divoti niente
affatto. I soldati di Saulle cercavano
Davide in casa sua; Micol, presa una statua, le mise addosso gli abiti di
Davide, e, adagiatala sul letto, fece credere che quello fosse Davide ammalato
che dormisse [I Reg., XIX, 11-16].
Allo stesso modo tanti e tanti si ammantano di certe esteriorità che
sogliono accompagnare la santa divozione, e subito il mondo li piglia per gente
divota e spirituale, mentre in realtà non sono altro che simulacri e fantasmi di
divozione.
La
vera e viva divozione, o Filotea, vuole prima di tutto l’amore di Dio, anzi non
è altro che vero amor di Dio; ma non è però un amore mediocre. Devi sapere che l’amore divino, in quanto
abbellisce le anime nostre, si chiama grazia, perchè ci rende graditi alla
divina Maestà; in quanto ci comunica la forza di operare il bene, dicesi
carità; ma quando è arrivato a tal grado di perfezione, che, oltre a farci fare
il bene, ce lo fa fare con diligenza, assiduità e prontezza, allora piglia il
nome di divozione. Gli struzzi non
volano mai; le galline volano, ma a stento, basso basso e di rado; invece le
aquile, le colombe e le rondini volano sovente, spedite e alto. Così i peccatori non s’innalzano mai a Dio,
ma vanno sempre terra terra; i buoni, che non sono giunti ancora alla
divozione, si sollevano a Dio con le loro buone opere, ma raramente, con
lentezza e sforzo; le persone divote volano a Dio con frequenza e agilità e
volano molto alto. A dirla in breve, la
divozione è un’agilità e vivacità spirituale, con cui la carità opera in noi e
noi operiamo nella carità prontamente e con trasporto, cosicchè, mentre è
ufficio della carità farci osservare i comandamenti di Dio, è poi ufficio della
divozione farceli osservare con prontezza e diligenza. Dunque chi non osserva tutti i comandamenti
di Dio, non può essere giudicato nè buono nè divoto; non buono, perchè a essere buono si richiede
la carità; non divoto, perchè a essere divoto, oltre la carità, ci vuole anche
ardore e speditezza a fare le azioni proprie della carità.
Ma vi è ancora di più. Quando la divozione va unita ad una carità
eminente, allora non solo ci rende pronti, agili ed esatti nell’osservanza di
tutti i precetti divini, ma inoltre ci stimola a fare tosto e di cuore il
maggior numero possibile di opere buone, ancorchè non sieno comandate, ma di
semplice consiglio o ispirazione.
Infatti, come chi si è alzato di fresco da una malattia, cammina quel
tanto che gli fa bisogno, ma adagio e con sforzo, così il peccatore, guarito
appena della sua iniquità, va solamente sin dove Dio gli comanda, a stento però
e a rilento prima che non sia arrivato alla divozione; ed arrivatovi, non solo cammina, ma, a guisa
di persona interamente sana, corre e spicca salti nella strada dei divini
comandamenti [Ps., CXVIII, 32], anzi valica di corsa i sentieri dei
consigli e delle ispirazioni celesti.
Insomma, la carità e la divozione
differiscono frar loro soltanto come il fuoco e la fiamma, perchè la
carità, che è fuoco spirituale, quando diviene molto infiammata, si chiama
divozione; sicchè la divozione non aggiunge al fuoco della carità altro che la
fiamma, la quale rende la carità pronta, operosa e diligente non solo
nell’osservanza dei comandamenti divini, ma anche nella pratica dei consigli e
delle ispirazioni celesti.”
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