Letture
Cattoliche
A cura di Paolo
Pasqualucci
2 -
La pazienza cristiana
[ Da : S. Francesco di Sales, La Filotea ossia
introduzione alla vita devota, tr.
it. del Sac. Eugenio Ceria, 6a
ediz. riveduta, Torino, S.E.I., 1945;
Parte Terza, Le virtù, cap. III, La pazienza, pp. 191-199
]
A cura
di Paolo Pasqualucci
N o t a --
La Filotea è neologismo con il quale il santo Autore indica “colei che
ama Dio”, “l’anima che ama dio” [phylos, caro, amante, amico + theos,
il dio, Dio] alla quale è indirizzata l’ Introduzione. L’opera non si rivolge a persone che vogliano esser
“segregate” o “isolate” dal mondo, agli aspiranti monaci, insomma al clero
regolare. Come spiega l’ Autore nella Prefazione
, “io invece ho in animo d’istruire coloro che vivono nelle città, tra le
faccende domestiche, nei pubblici
impieghi, e che dalla propria condizione sono obbligati a fare, quanto
all’esterno, la vita che tutti fanno. Costoro, d’ordinario, sotto pretesto di
un’immaginaria impossibilità, non vogliono nemmeno pensare a intraprendere la
vita divota, dandosi a credere che, come nessun animale osa gustare i semi
dell’erba chiamata Palma Christi, così nessun uomo debba aspirare alla
palma della pietà cristiana fin tanto che vive nella ressa degli affari temporali. Ebbene io mostrerò a questi tali […] che
un’anima energica e costante può vivere nel mondo senza imbeversi di umori
mondani, può trovare sorgenti di dolce pietà nelle onde amare del secolo, può
volare tra le fiamme delle concupiscenze terrene senza lasciarvi le ali dei
santi desideri della vita divota.
L’impresa è ardua al certo, e per questo appunto mi piacerebbe che molti
vi dedicassero il pensiero con più ardore che non siasi fatto sin qui: io intanto nella mia pochezza mi studierò di
portare con questo scritto un qualche aiuto a chi di buona voglia si accingerà
in seguito ad un’opera sì degna” ( op. cit., pp. XV-XVII )].
Ho conservato alla traduzione il suo carattere
antiquato, di un italiano ancora ottocentesco.
Gli inserimenti miei nel testo sono accompagnati dalla sigla “ndr”, nota
del relatore. Le citazioni dei Testi
Sacri, tutte dell’Autore, sono lasciate nel vecchio stile, che si serviva
ampiamente dei numeri romani.
* *
*
“La
pazienza è a voi necessaria, affinchè, facendo la volontà di Dio, entriate in
possesso delle sue promesse”, dice
l’Apostolo [Hebr., X, 36]. Sì, è
così; perchè , come aveva già dichiarato il Salvatore [Luc., XXI, 19], nella
vostra pazienza possederete le anime vostre.
Il possedere l’anima propria è la più gran fortuna di un uomo, o
Filotea, e quanto più perfetta sarà la nostra pazienza, tanto più perfettamente
noi possederemo le nostre anime.
Ricòrdati spesso che, come il Signore ci ha salvati soffrendo e patendo,
così dobbiamo anche noi operare la nostra salute per mezzo delle sofferenze e
dei patimenti, sopportando le ingiurie, le contraddizioni e le croci con la
maggiore soavità possibile.
Non
limitare la tua pazienza a qualche offesa o a qualche pena determinata, ma
estendila a tutte quante quelle che a Dio piacerà di mandarti o di
permettere. Vi sono certuni che non
vogliono soffrire se non pene che rechino onore, come per esempio essere feriti
in battaglia, cadere prigionieri di guerra, ricevere maltrattamenti per la
religione, rimanere impoveriti a motivo d’una lite vinta da essi; ora questi tali non amano già la pena ma
l’onore che ne deriva. Il vero paziente
e vero servo di Dio piglia senza distinzione croci ignominiose e croci
onorate. Il soffrire disprezzi,
riprensioni, accuse e maltrattamenti dai malvagi, è cosa gradita a un uomo di
animo forte; ma a tollerare di essere rimproverato, calunniato, trattato male
da persone a modo, dagli amici, dai parenti, ci vuole del buono e del
bello! Io stimo più la dolcezza del
grande san Carlo Borromeo in soffrire lungo tempo le pubbliche riprensioni
fattegli sul pulpito da un insigne predicatore d’un Ordine assai osservante, che
non per tutte le persecuzioni da lui patite in altre circostanze. Perchè, siccome le punture delle api sono più
cocenti che quelle delle mosche, così il male che si riceve da parte di gente
rispettabile, e le contraddizioni che vengono da parte d’uomini dabbene, sono
più insopportabili d’ogni altra cosa, avvenendo purtroppo sovente che due
persone dabbene abbiano entrambe ottime intenzioni, e tuttavia per diversità di
vedute si perseguitino e si facciano guerra a vicenda.
Nelle
afflizioni che ti sopraggiungono, sii paziente non solo riguardo alle
afflizioni per se stesse, ma anche riguardo alle circostanze accessorie che
ordinariamente le accompagnano. Molti
vorrebbero, sì, avere qualche cosa da soffrire, ma purchè non ne venisse loro
nessun incommodo. Non mi rincrese, dice
uno, d’essere diventato povero; mi dispiace solamente che questo m’impedisca di
servire gli amici, di allevare i figli e di vivere con quel decoro che
vorrei. Un altro dirà: non me ne importerebbe niente, se non fosse
che il mondo penserà che questo mi sia succeduto per mia colpa. Un terzo sarebbe contentissimo che si
parlasse male di lui e lo soffrirebbe in pace, a patto però che nessuno
prestasse fede al maldicente. Altri
accettano volentieri una parte degl’incomodi cagionati da qualche malattia, ma
tutti no: non s’inquietano già, dicono
loro, di essere ammalati, ma perchè non hanno danaro per farsi curare o perchè
quei di casa ne restano incomodati.
Invece io dico, o Filotea, che bisogna tollerare con pazienza non solo
d’essere ammalati, ma anche d’essere malati della malattia che Dio vuole, nel
luogo ch’egli vuole, tra le persone che vuole, e con i disagi che vuole; e dico il medesimo delle altre sofferenze.
Quando
ti verrà del male, adopera pure tutti i rimedi possibili, a te e conformi al
volere di Dio, perchè il fare diversamente sarebbe un tentare il Signore; ma
poi, fatto questo, attendi con piena rassegnazione quell’effetto che a Dio piacerà. Se a lui piacerà che i rimedi vincano il
male, ne lo ringrazierai umilmente; se invece gli piacerà che il male vinca i
rimedi, benedicilo con pazienza.
Io
sono del parere di san Gregorio [S. Gregorio Magno, papa - ndr]: quando verrai accusata giustamente per una
colpa da te commessa, umiliati profondamente, e confessa che meriti l’accusa
contro di te [Moral., in Iob, XXII, 30-34]. Se invece l’accusa mossa è falsa, scùsati in
bel modo, dicendo che non sei colpevole, perchè devi questo riguardo alla
verità e all’edificazione del prossimo; ma se dopo la tua vera e legittima
scusa continuano ad accusarti, allora non ti turbare nè affannarti più in
volere che siano menate buone le tue
scuse: perchè, fatto il tuo dovere con
la verità, lo devi fare anche con l’umiltà.
Così non verrai meno nè alla sollecitudine che sei obbligata di avere
per il tuo buon nome, nè all’affetto che hai da nutrire per la pace e la
dolcezza del cuore e per l’umiltà dello spirito.
Lamèntati
meno che puoi dei torti ricevuti; poichè
è certo che d’ordinario chi si lameneta cade in qualche peccato, facendoci
sempre il nostro amor proprio comparire più grandi che non siano le ingiurie;
ma soprattutto non fare i tuoi lamenti con persone facili a sdegnarsi e a pensare
male. Nel caso che ti paresse
conveniente dolerti con alcuno o per rimediare all’offesa o per calmare il tuo
spirito, devi procurare che sia con anime molto tranquille e davvero amanti del
Signore; perchè altrimenti, invece di sollevarti il cuore, te lo getterebbero
in maggiori inquietudini, e invece di cavarti dal piede la spina che ti punge,
te la ficcherebbero dentro più di prima.
Certuni,
quando cadono malati o sono afflitti o ricevono un’offesa, evitano bensì di
querelarsi e di mostrarsi permalosi, perchè questo, a parer loro (ed è proprio
così), darebbe chiaramente a vedere che mancano di fortezza e di
generosità; ma hanno tuttavia una gran
voglia, e lo procurano con cento artifizi, che ognuno si dolga con loro, li
compassioni, li stimi non solo afflitti, ma anche pazienti e coraggiosi. Cotesta è, sì, una specie di pazienza, ma
pazienza falsa, la quale in ultima analisi non si riduce ad altro che a una
finissima ambizione e vanità; costoro hanno di che gloriarsi, dice
l’Apostolo, ma non dinanzi a Dio [Rom., VI, 2]. Il vero paziente non piange il suo male, nè
desidera di essere compianto dagli altri, ma ne parla con un linguaggio
schietto, verace e semplice, seenza lamenti, senza rammarichi, senza
esagerazioni: se lo compatiscono, si
lascia compatire in pace, tranne quando lo compatiscono di un male che non ha;
in tal caso dichiara modestamente che non ha quel male, e se ne sta tranquillo
fra la verità e la pazienza, dicendo il male che ha e non movendone alcuna
lagnanza.
Nelle
ripugnanze e difficoltà, che, praticando la divozione, non mancherai di
provare, abbi a mente il detto di Nostro Signore: la donna, allorchè partorisce, è in
tristezza, perchè è giunto il suo tempo, ma quando ha dato alla luce il
bambino, non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perchè è
nato al mondo un uomo.” [Ioann., XVI, 21]. Tu hai concepito nell’anima tua il bambino
più bello che vi sia, cioè Gesù Cristo, e prima del mistico parto il travaglio
ti è inevitabile; ma fatti coraggio, chè, passati i dolori, ti resterà la gioia
eterna di aver dato alla luce un uomo di tal natura. Ora egli sarà per te ben partorito, quando lo
avrai ben formato nel tuo cuore e nelle tue parole, cosa che otterrai con lo
studiarti d’imitarne la vita.
Quando
cadi malata, offri a Gesù tutti i tuoi dolori, pene e miserie, e supplicalo di
unirli ai tormenti da lui sofferti per te.
Obbedisci al medico, piglia le medicine, gli alimenti e ogni sorta di
rimedio per amore di Dio, richiamandoti alla memoria il fiele ch’egli bevette
per nostro amore. Desidera di guarire
per servirlo; non ricusare di patire per obbedirgli e sii disposta anche a
morire, se così piace a lui, per andarlo a lodare e a godere in cielo. Le api, nel tempo che fanno il miele, vivono
mangiando un cibo amarissimo; e così noi non possiamo assolutamente fare atti
di maggiore dolcezza, nè comporre bene il nostro miele di belle virtù, se non
mangiando il pane dell’amarezza e vivendo in mezzo alle angosce. E come il miele ricavato dai fiori di timo, erba
piccola e amara, è il migliore di tutti, così la virtù praticata nell’amarezza
delle più vili, basse e abbiette tribolazioni è più eccellente d’ogni altra.
Mira
sovente con i tuoi occhi interni Gesù Cristo crocifisso, nudo, bestemmiato,
calunniato, derelitto, e curvo sotto un gran peso di tedii, tristezze e
travagli d’ogni maniera, e considera che tutte le tue pene non si possono nè
per qualità nè per numero paragonare alle sue, e che per quanto tu soffra, sarà
sempre un nulla a petto di quanto egli ha sofferto per te. Considera le pene già sofferte dai Martiri e
quelle patite ora da tanti e tanti, pene senza confronto più gravi di quelle che
provi tu, e poi di’ così: Eh, che i miei
travagli sono consolazioni, e le mie spine rose, a confronto di coloro che
senza soccorso, senz’aiuto, senza sollievo vivono in una morte continua,
oppressi da tribolazioni infinitamente
più gravi delle mie!