PAOLO
PASQUALUCCI :
IL “REGNO DELLA DONNA” HA DISTRUTTO I
VALORI TRADIZIONALI.
Riflessioni su una
pagina di Del Noce del 1970, attualissima in relazione alla presentazione in
Aula il 3 agosto 2020 del ddl “di contrasto all’omotransfobia”.
Sommario : 1. Il filosofo cattolico Augusto Del Noce
già nel 1970 denunciava il crollo dei valori tradizionali, mentre stava
iniziando “il regno della donna”; 2. Il
“regno della donna” è la “ginecocrazia” che sta estinguendo l’Occidente. 3. Lo schema politico aberrante che sta
suicidando le nazioni occidentali impossibile senza “il regno della
donna”. 4. L’irreligiosità femminile di
massa all’origine del “regno della donna” e oggi suo effetto. 5. I
Surrealisti invocavano il “regno della donna” per distruggere la morale
cristiana. 6. Carattere intrinsecamente distruttivo del
femminismo, innervatosi al marxismo. 7.
Il progetto di legge contro la cosiddetta “omotransfobia” e la “misoginia”: formulazione
generica, passibile di ampie interpretazioni liberticide, inaccettabile
promozione dell’omosessualità nella società e nella scuola, ad ulteriore
rafforzamento del “regno della donna”. 8.
Il “regno della donna” vuole obbligarci a “vivere nella menzogna”: 8.1 La menzogna dell’origine biologica
dell’omosessualità; 8.2 la menzogna del
cambiamento di sesso (“transition”) la cui chirurgia risolverebbe i problemi
mentali dei transgender. 9. Il disperato
dolore delle vittime della chirurgia che
“riassegna il sesso”, rovinate per sempre.
*
*
1. Il filosofo cattolico Augusto Del Noce già
nel 1970 denunciava il crollo dei valori tradizionali, mentre stava iniziando
“il regno della donna”.
Nel
suo lungo saggio in garbata polemica con il filosofo laico Ugo Spirito, sul
tema “Eclissi o tramonto dei valori tradizionali”, Augusto Del Noce, eminente
filosofo cattolico, scomparso nel 1989, scriveva nel 1970 :
“Il
fenomeno del crollo degli ideali tradizionali ha dimensioni mondiali; non è
meno occidentale che orientale; anzi, oggi, è assai più occidentale che
orientale, a tal punto che già nel 1963 parlai dell’ “irreligione naturale”
come tratto distintivo del nostro tempo e come fenomeno che si è presentato per
la prima volta nella storia. Torna anche
qui l’obbligata analogia col Seicento; ma il libertinismo, prima forma di ateismo
dopo il cristianesimo, restava fenomeno aristocratico, mentre oggi ci troviamo
davanti all’ateismo di massa, di cui un aspetto è – dove trovarne antecedenti,
nel mondo successivo al cristianesimo almeno? – l’ irreligione femminile più
diffusa di quella maschile (nella gioventù maschile si nota infatti una certa
inquietudine religiosa motivata in parte dall’incombente possibilità del
passaggio al regno della donna)”.
A
questa frase, veniva riferita la seguente nota a pie’ di pagina: “Per Breton (J.L. Bédouin, André Breton
cit., p. 18) la sostituzione del mondo fondato sul principio del piacere alla ”ignobile”
morale cristiana deve coincidere con la sostituzione “alla tirannia
dell’uomo…di un regno della donna”. Ma
su questo “regno della donna” meritano di essere riprodotte le osservazioni che
già nel 1947 faceva Giacomo Noventa (Caffè Greco, cit., p. 62): “Dove la donna è sottomessa all’uomo
trionfano l’intelligenza e la forza; dove l’uomo alla donna, l’immaginazione e
la violenza. Regno della donna: tirannia.
Regno delle donne: anarchia”. Nel
regno della donna “i pederasti e le lesbiche invadono il campo”. La connessione tra “principio del piacere”,
come morale che si è affermata negli ultimi anni, e “regno della donna”
meriterebbe di essere altrettanto studiata”.[1]
Ricordo
come all’epoca l’ampio e articolato saggio così controcorrente di Del Noce,
pieno di osservazioni acute e originali, facesse notevole impressione negli
ambienti colti, anche tra esponenti della sinistra. Quello che stiamo sperimentando oggi, nella
decadenza morale senza precedenti dell’Occidente, Del Noce, servendosi anche
degli spunti suggeriti dall’intellettuale cattolico Giacomo Noventa, lo aveva
prefigurato, ricavandolo dai suoi approfonditi studi sull’ateismo
contemporaneo e i suoi peculiari caratteri.
2.
Il “regno della donna” è la “ginecocrazia” che sta estinguendo l’Occidente.
Oggi,
non siamo forse in pieno “regno della donna”?
E questa vera e propria ginecocrazia ci sta facendo forse
progredire verso il meglio? Domanda
ovviamente retorica. Questo “regno”, che
vede le donne in schiere sempre più fitte non più spose e madri ma volutamente senza-famiglia,
mascolinamente presenti dappertutto e sempre più aggressive e numericamente
prevalenti nei confronti degli uomini, cui vogliono strappare lo scettro del
comando in tutti i settori del vivere civile ed ecclesiastico, si è rivelato
sempre più un vero e proprio regno della barbarie, visto che i
“valori” che esso vuole diffondere e imporre
sono:
l’ugualitarismo
assoluto tra l’uomo e la donna, smentito già dalla differenza naturale tra i
due sessi, che incide anche sulla psiche individuale e i rispettivi
comportamenti; la libertà sessuale più completa; il libero aborto, per di più
pagato dallo Stato; l’omosessualismo, in tutte le sue forme; la maternità senza
il marito, il padre, la famiglia stessa, secondo l’impulso individuale del
momento, anche questa a spese dello Stato – senza nemmeno l’uomo, con le
seminazioni artificiali, concesse anche alle lesbiche; le singolari
teorie neganti il carattere naturale delle differenze sessuali, le quali
pretendono che il sesso non sia un dato
della natura bensì un sentirsi maschio o femmina a seconda di come gira
o dell’influenza dell’ambiente; l’educazione sessuale ed erotica, anche a
sfondo omosessuale, nelle scuole, sin dalle elementari, quest’ultima una cosa
particolarmente grave, una vera infamia ai danni di fanciulli e fanciulle…Un
autentico museo degli orrori, e si potrebbe proseguire nell’elenco, se si
volessero considerare tutte le sfaccettature del fenomeno che, ovviamente, ha
imbarbarito le donne anche sul piano estetico e del comportamento,
gettati pubblicamente alle ortiche come inutili orpelli il pudore e la modestia,
virtù tipicamente femminili, che educavano gli uomini e li muovevano ad un
rispetto spontaneo per “il sesso gentile”.
Non
possiamo nemmeno dimenticare i guasti provocati nella giustizia penale:
[1] l’inversione dell’onere della prova,
non più a carico di chi accusa, imposta dalle femministe nei
processi per abusi e molestie sessuali, stupro, in violazione di un principio
di civiltà giuridica che risale agli antichi romani;
[2]
l’introduzione di una figura di reato del tutto psicologica, come il
sentirsi offesa la donna da un’osservazione a suo dire lesiva del suo preteso
“diritto” a non esser “discriminata” rispetto al comune (dobbiamo infatti esser
sempre considerati tutti uguali), se nel rivolgersi ad essa la si individui
come donna tra i presenti, con l’uso di un pronome o articolo o sostantivo femminile. Abbiamo qui l’introduzione di una nozione del
tutto soggettiva di reato, cosa inaccettabile: creato il reato non da
un’offesa oggettivamente rilevabile, come un’ingiuria patente o una grave
insinuazione, ma dal sentirsi intimamente offesa e quindi infelice,
stressata la parte per un legittimo uso al femminile di termini del
discorso assolutamente corretti. Il
“sentirsi discriminata” è stato poi codificato nei vari sistemi giuridici e
vale come norma per applicare sanzioni.
Nei casi più benevoli, di questo tipo:
“Scintille sull’elettricista di sesso femminile. L’Autorità per l’Uguaglianza ha stabilito che
una elettricista recatasi dal Regno Unito al Trinity College di Dublino
per un colloquio di lavoro è stata discriminata. Ms L.R. si è lamentata del fatto che un
membro della Commissione cui doveva presentarsi si è riferita a lei come
“l’elettricista donna” [the lady electrician] quando l’ha
avvicinata per introdurla alla Commissione.
La persona in questione era l’unica donna fra 37 individui che si
presentavano per ottenere il posto. A
suo favore, il funzionario dell’Eguaglianza ha stabilito una compensazione di
1500 sterline [irlandesi, circa 2000 euro]”.[2]
Ombra
di Jonathan Swift, dove sei?
L’invenzione di una “discriminazione” così assurda, che impedisce di
chiamare le cose col loro nome anche in senso solo descrittivo, muove dal
presupposto errato dell’uguaglianza assoluta di uomini e donne, da farsi
osservare in modo tale da trasformare in crimine anche il semplice far
rilevare che la tal persona è una donna ossia (implicitamente) la differenza
naturale tra i due sessi.
Questa
anomala figura di reato, fondata su un uso abnorme del concetto di “discriminazione”,
viene però notoriamente utilizzata dagli
attivisti lgtb per accusare di “crimini indotti dall’odio” (hate crimes)
chiunque faccia dei riferimenti anche solo generali e rispettosi alla natura
gravemente disordinata del loro modo di vivere, sulla base dei testi evangelici
o magari di Platone (Leggi I 636 c) e Aristotele (Etica Nicomachea,
1148 b). Non amano sentirsi
ricordare che la sodomia, la pederastia e il lesbismo sono peccati gravi, mortali
perché comportano la dannazione eterna per chi non si pente e cambia vita;
peccati che, oltre agli individui, distruggono i popoli e dai quali bisogna
emendarsi (come, del resto, da tutti gli altri peccati), con la conversione a
Cristo e la penitenza (1 Cor 6, 9-11), se si vuole per l’appunto salvare la
propria anima e render gloria a Dio. E
nemmeno vogliono sentirselo dire perché allora si sentono, dicono,
vittime di un “incitamento all’odio” contro di loro. Invocano la punizione del
responsabile non con una semplice multa ma addirittura con il bavaglio e anni
di galera. All’inizio delle loro “rivendicazioni”, anni fa, gli esponenti delle “comunità gay” chiedevano
umilmente comprensione e tolleranza per la loro “diversità” e cancellazione
delle sanzioni penali per la sodomia, dove c’erano. Oggi, esigono che
l’omosessualità, oltre che riconosciuta e rispettata come se fosse una cosa
bella e positiva, sia insegnata nelle scuole, promossa culturalmente e
socialmente, finanziata dallo Stato, criminalizzando pesantemente chi non è
d’accordo ossia le persone normali, che sono circa il 97-98% della popolazione (almeno
negli Stati Uniti (vedi infra), ma anche per l’Italia si deve ritenere valido
un dato simile).
Ma
dove mai sta “l’incidamento all’odio” in una religione che, dopo aver
denunciato questo peccato in tutta la sua oggettiva gravità (Rom 1, 21 ss.),
esorta il peccatore al pentimento e alla conversione a Cristo, a vivere in
Cristo in fede e opere, garanzia tutto ciò
della sua giustificazione di fronte a Dio e della sua salvezza eterna
perché anch’egli, come gli altri peccatori pentiti, con la conversione viene “lavato”
dal sangue di Cristo Crocifisso, morto per la redenzione di tutti noi peccatori
(1 Cor 6, 9-11)? Se c’è una religione
che non incita all’odio verso i trasgressori dei comandi divini, mirando invece
a salvarne le anime in tutti i modi possibili, questa è proprio la religione
cattolica. Ma proprio questa cristiana,
caritatevole esortazione a pentirsi e a cambiar vita, in primo luogo per il
loro stesso bene, affidandosi alla
Grazia divina per riuscire nella difficile impresa; a rivolgere la mente
soprattutto al destino eterno delle loro anime, gli attivisti lgtb non voglion
sentire e sembra riempirli di furore e di
o d i o nei confronti della
nostra religione (vedi infra).
3. Lo schema politico aberrante che sta
suicidando le nazioni occidentali, impossibile senza il “regno della donna”.
Alcuni dei terribili mali che ci affliggono
non sono stati creati dal femminismo, che tuttavia coopera attivamente al loro
diffondersi. Infatti, collabora
attivamente alla distruzione delle nazioni europee e americane,
oltre che con la corruzione dei costumi e la denatalità, con il favorire anch’esso l’ingresso indiscriminato di
pseudo-migranti in gran parte di origine africana e asiatica, quasi tutti
musulmani; propugnando, inoltre, unitamente alle associazioni lgtb, la
concessione dello ius soli immediato per tutti i loro nati in Italia,
invece di farli aspettare sino al compimento dei 18 anni, come stabilisce la
legge.
La
mentalità oggi diffusa, quella dell’individuo che, in quanto tale, ha solo
diritti e nessun autentico dovere e vanta in primo luogo un supposto diritto
alla felicità, che lo Stato avrebbe il dovere di procurargli, trattando i
desideri di ciascuno come se fossero diritti da tutelare, diritti umani,
espressione della sublime dignità che ogni persona possederebbe per il solo
fatto di esser nata – concezione che prescinde da ogni visione etica dell’uomo;
questa concezione individualistica ed edonistica all’estremo del diritto ma
anche della morale, come se non esistesse un bene comune (della società,
del popolo) che deve prevalere pur senza prevaricare su quello individuale,
disciplinandolo in modo da impedirne le derive anarchiche e nichiliste (oggi
dominanti); questa concezione del diritto come pretesa che l’individuo
si porta appresso in tutto il mondo e cui tutto il mondo (creduto erroneamente
una sorta di “villaggio globale”) deve rispettosamente inchinarsi e tutelare in
ogni modo; questa visione del tutto
astratta del diritto e dell’individuo, scissa da ogni ordinamento concreto -
familiare, sociale, nazionale, culturale, religioso – non l’hanno creata le
femministe però vi hanno contribuito nella sezione “diritti della donna”, e vi
partecipano attivamente.
Dei
“doveri della donna” mai parlano e del resto il concetto stesso del dovere,
quale concetto fondamentale della morale e del diritto, sembra scomparso
dall’orizzonte collettivo, uomini e donne.
La mentalità de “il mio diritto innanzitutto” rispecchia, più che un
desiderio di giustizia, una concezione della vita utilitaristica ed edonistica. Il “mio diritto” coincide sempre infatti con
“il mio vantaggio” e “il mio
piacere”. Questa arida e superficiale
mentalità domina anche nei rapporti tra i sessi, perfettamente organica alle
pretese del femminismo. Così le donne in
generale oggi, anche quelle che non si considerano femministe, vedono l’uomo
soprattutto come un antagonista in tutti i campi, un avversario, un nemico, da
confrontare su tutti i piani per ottenerne l’utile e il piacere che si reputano
necessari; un soggetto dal quale
estrarre il piacere dei sensi quando se ne ha voglia ma giammai “l’anima
gemella” alla quale affidarsi, con la quale costruire la propria vita, fondare
una famiglia regolare, appartenere positivamente a un popolo, una nazione.
L’uomo è diventato un concorrente sul posto di lavoro, la donna crede oggi che
la sua personalità, esaltata oltre ogni dire, si debba affermare contro
l’uomo, in una artificiosa conflittualità permanente che, pompata senza sosta
dai media, tiene la società occidentale immersa in una “guerra dei sessi”
sempre più isterica.
L’azione
più deleteria il femminismo l’ha svolta nella dissoluzione della morale, con i
suoi inevitabile riflessi sociali e politici.
Si può dire che, senza il
“regno della donna”, che ha cooptato l’omosessualismo nelle sue varie forme
nella governance di questo regno, non si sarebbe potuto mettere in atto
lo schema politico aberrante che sta suicidando l’Euro-america. Infatti, la classe dirigente progressista al
potere (in Italia, cattocomunista, postcomunista e variegati raggruppamenti del
sinistrismo radicale) cosa fa?
1. lascia progredire la denatalità
all’interno, favorendo la presenza massiccia e persino imposta per legge delle
donne nel mondo del lavoro; tutelando come “diritti” gli stili di vita
libertini, omosessualisti, abortisti, causa evidente di questa denatalità unitamente alla propaganda di
pseudoculture contrarie alla famiglia naturale e alla religione, promuovendo
nello stesso tempo la sostituzione della famiglia naturale con forme di
“famiglia” false e contrarie alla morale, sia cristiana che naturale, quali la
“famiglia di fatto”, la “madre singola”, la “famiglia omosessuale”;
2. giustifica l’accoglimento indiscriminato degli
pseudo-migranti con l’argomento che essi servono per colmare i vuoti
demografici provocati dalla denatalità, a sua volta provocata in gran parte
proprio dalla politica irresponsabile e dilettantesca di questa stessa classe
dirigente, nella quale le donne sono sempre più numerose. Invece di contrastare con le leggi e
un’opportuna educazione fenomeni come la “madre singola”, la “famiglia di
fatto”, la “famiglia omosessuale”; invece di esortare le donne italiane alla
virtù della castità (una virtù così bella, a pensarci bene, soprattutto
nelle donne, quando sono caste nel corpo e nella mente) e, pertanto, a tornare
a godere del piacere dei sensi solo nell’àmbito del matrimonio, facendo figli e
costruendo la famiglia come vuole la natura; incoraggiandole con gli opportuni
provvedimenti, le donne, a togliersi dal “mercato del lavoro” e dalle
professioni, per potersi dedicare a ricostruire la nazione partendo dalla
famiglia, che ne è la base; insomma, invece
di applicarsi con senso comune e patriottismo a risolvere i gravi
problemi dell’ora in modo favorevole al nostro buon diritto di popolo
indipendente, pacifico e sovrano, e alla sopravvivenza della nazione italiana,
si incoraggiano i cosiddetti migranti musulmani ad invaderci offrendo loro ogni
sorta di vantaggi sociali ed economici, ampiamente pubblicizzati in rete,
finanziati con il pubblico denaro.
Di fronte a una politica del genere, che, del
pari, come nel resto della Euro-America, non fa praticamente nulla per
combattere il mefitico contorno di prostituzione,
uso di droghe e pornografia, spettacoli immorali che infesta l’emancipata ambiance della
nostra società; contraria, questa politica, ad ogni sana concezione dell’azione
di uno Stato e di un governo degni di questo nome; ci si deve chiedere se tutto
il fronte radical-progressista, inclusivo oggi purtroppo di parte considerevole
di un clero che, a cominciare dai suoi vertici, sembra aver perso da
tempo i fondamenti stessi della fede, non abbia completamente “smarrito il ben
dell’intelletto”.
E ci si deve chiedere se questa politica che sta
suicidando il popolo italiano non rappresenti una grave violazione del Patto
Sociale da parte della classe dirigente attualmente al potere. Le società e gli Stati raramente nascono dal
patto sociale come fatto isolato, evento storico specifico. Però un elemento contrattuale è
ugualmente presente nel rapporto tra cittadini e Stato, nel senso che
l’obbedienza e la lealtà del cittadino nei confronti delle istituzioni che lo
governano dipende tacitamente anche dal grado di protezione, sicurezza,
giustizia che le istituzioni sono in grado di offrire. Se le istituzioni, rappresentate dall’azione
di governo, inaugurano una politica che sembra addirittura rivolta contro l’esistenza
e la sopravvivenza stessa del popolo, per i motivi sopra illustrati,
aprendo per di più il territorio nazionale a massicce e continue invasioni (e
di elementi assolutamente estranei ed anzi ostili alla nostra tradizione e
cultura), allora il cittadino può considerare violato in modo grave il
Patto Sociale da parte del governo e della classe dirigente che esso
rappresenta. E trarne le dovute
conseguenze, che consistono innanzitutto nel considerare moralmente e
politicamente delegittimata l’azione di un governo del genere. Ciò significa che cade l’obbligo del
cittadino di obbedire ad essa azione e diventano legittime, nel perdurare di
quest’ultima, non solo la resistenza passiva e la disobbedienza civile ma anche
forme più radicali di ribellione.
4. L’irreligiosità
femminile di massa all’origine del “regno della donna” e oggi suo effetto.
Ma
torniamo alla pagine di Del Noce per illustrarne alcuni riferimenti che
potrebbero apparire oscuri.
I
“libertini” erano gli agnostici e miscredenti, così chiamati nel Cinquecento e
Seicento. Mediante la critica erudita
dei Testi Sacri, svalutavano la religione cristiana (libertinismo erudito,
poi filosofico, da liberi pensatori, cosiddetti). Contribuirono all’affermarsi dello
scetticismo e dell’irreligiosità: movimento d’élite, limitato soprattutto
all’aristocrazia, che si sviluppò in conseguenza delle lunghe guerre di
religione, tra cattolici e protestanti. I “libertini” prepararono l’attacco
alla religione cristiana portato poi con estrema determinazione dall’Illuminismo,
soprattutto francese. Il “libertinismo”,
di per sé fenomeno indipendente dal libertinaggio nei costumi privati, anche
se le due cose non si escludevano a vicenda, fu, dunque, fenomeno limitato a determinati ambienti aristocratici,
anche se influenzò la cultura generale, gettando i semi di una mala pianta che
avrebbe fruttificato copiosamente. Esso si caratterizzava anche per l’irreligiosità,
ossia per un atteggiamento sprezzante e offensivo, in alcuni di loro, nei
confronti della religione, in particolare di quella cattolica, oggetto di motti
di spirito irriverenti, blasfemìe a tutto campo, satire: il tutto diffuso da una velenosa letteratura anonima e clandestina. Un erede di questo spirito sarebbe stato in
particolare Voltaire. Ma anche
altri illuministi si sarebbero distinti a questo riguardo.[3]
Rispetto
al passato, notava giustamente Del Noce, abbiamo oggi una irreligiosità non
più di élite ma di massa. Non
solo: essa sembra coinvolgere più le
donne che gli uomini. Anche questa
una novità rispetto al passato, quando l’anticlericalismo, la miscredenza,
l’irreligiosità erano fenomeni assai più maschili che femminili. Oggi, AD 2020
vale ancora l’osservazizone di Del Noce? Secondo me, sì. Non solo l’ateismo e
l’agnosticismo, anche l’irreligiosità, sempre più aggressiva, vandalica e
capillare, sembra ormai universale, in Occidente ma il contributo femminile non
è certamente inferiore a quello maschile, apparendo anche più ostentato. In quasi tutte le istituzioni, in particolare
in quelle accademiche, domina l’ostilità
al cattolicesimo, e ormai il numero delle donne vi supera spesso quello degli
uomini. Curiosa può sembrare oggi l’osservazione secondo la quale “nella
gioventù maschile si nota [nell’ AD 1970] una certa inquietudine religiosa
motivata in parte dall’incombente possibilità del passaggio al regno della
donna”. Per me è impossibile verificare
l’esattezza di quest’ affermazione. Di
quale “gioventù maschile” parlava Del Noce?
A quell’epoca credo frequentasse l’ambiente di Comunione e
Liberazione. Riferiva una sensazione
provata a contatto con i giovani di quell’ambiente, che certo fu inizialmente
positivo per molti di loro, riportandoli o mantenendoli nel cattolicesimo? Comunque sia, dalla notazione emerge la
giusta intuizione di quei giovani: per
contrastare “il regno della donna” che si annunciava nell’immagine di una virago
senza-famiglia, senza-uomini, senza-figli e senza-Dio, dedita al lavoro, al
guadagno, allo sport e al body-building, ai tristi inconri amorosi dei
fine-settimana elargiti dalla “società opulenta” – insomma, un c l o n e dei peggiori esemplari maschili; per
combattere questo spaventoso processo di autoannienamento del femminino, è
necessario ritornare in primo luogo alla religione, alla vera religione, alla Sacra
Famiglia, al cattolicesimo autenticamente creduto e vissuto,
innanzitutto nelle vite di ciascuno di noi, in applicazione del principio:
“l’esempio è la miglior predica”.
Circa
l’indubbia irreligiosità di massa tra le donne odierne, possiamo
aggiungere: ecco un frutto tra i più
amari della c.d. emancipazione della donna, “emancipatasi” dalla
morale e dalla religione, dal sentimento religioso stesso. Del resto, è impossibile separare la morale
dalla religione, l’una si basa sull’altra. Le epoche di forte decadenza e
corruzione dei costumi sono anche epoche
di scomparsa o quasi del sentimento religioso, sostituito da forme spurie di
“religiosità”, a sfondo sincretistico, magico ed esoterico. La storia lo dimostra ampiamente.
Ma
oggi dobbiamo confrontarci con un tipo femminile diffuso nelle
istituzioni nazionali e internazionali, in particolare nell’ONU, il quale, alla
maniera dell’estremista Kamala Harris, senatrice scelta dai Democratici
quale vice del loro candidato alla Presidenza, Joe Biden, ostenta nella sua
azione politica e nel suo programma abortista, immigrazionista, omosessualista,
l’avversione esplicita per ogni religione, con particolare riguardo al
cattolicesimo, avendo essa dichiarato che un cattolico non può occupare nessuna
carica pubblica, essendo la sua visione del mondo quella di una Chiesa
“bigotta” perché la sua dottrina condanna sia aborto che omosessualità.
5. I Surrealisti invocavano il “regno della
donna” per distruggere la morale cristiana.
Molto
opportunamente, Del Noce riportava in nota l’auspicio del poeta surrealista
André Breton, francese: per abbattere
l’odiata morale cristiana, per lui addirittura “ignobile”, bisognava
scatenare le donne. Vale a dire:
portare le donne al potere, fare della società un “regno delle donne”. Esse avrebbero imposto il “principio del
piacere” distruggendo la morale cristiana, che, in nome della salvezza e della
vita eterna, si presentava sempre come regno del “servare mandata” di origine
divina (Lc 17, 10; Mt 28, 19-20); cioè, in termini umani, del dovere, della
regola, della disciplina e, soprattutto, dell’autodisciplina, caratteristiche
ritenute prevalentemente maschili, e tuttavia riscontrabili in passato presso
tante donne di eccelsa virtù, spesso semplici madri di famiglia.
I
surrealisti erano in genere atei e comunisti, anticristiani per la pelle. Praticavano una poesia-prosa che chiamavano
“automatica” perché, dicevano, messa giù senza regole, seguendo l’impulso
dell’ispirazione che parlava da sola, come se provenisse da una sorta di
sur-realtà da sovrapporsi alla realtà autentica. Più prosaicamente, scrivevano sotto l’effetto
delle droghe delle quali si imbottivano, appunto per poter praticare il
cosiddetto automatismo dell’ispirazione. Drogati o meno che fossero, la
loro poesia è praticamente illeggibile nel guazzabuglio di immagini
squinternate e sconnesse, disarmoniche, spesso stridenti, spesso incomprensibili,
raramente illuminate dal bagliore della vera poesia. Eppure anche i pazzi c’azzeccano,
talvolta. L’auspicio-profezia di Breton,
per nostra sfortuna, si è realizzato con il femminismo al potere nella società
euro-americana, grazie alla compiacenze, all’incoltura, alla mancanza di
carattere, ai calcoli meschini di classi dirigenti del tutto ímpari al loro
compito storico.
Del
Noce invitava nel 1970 a studiare il nesso tra “principio del piacere”, come
morale (cioè come negazione della morale), “che si è affermata negli ultimi
anni”, e “regno della donna”. Questo
“studio” abbiamo dovuto farlo sulla nostra pelle, sulla pelle della nostra
società devastata dalla libertà di abortire permessa dalle leggi dello Stato,
da ogni forma possibile di libertinaggio, da una denatalità che ci sta facendo
scomparire come popolo, come etnìa addirittura.
Ma perché il “regno della donna” avrebbe dovuto assumere queste
caratteristiche così negative? Non
avrebbe potuto rappresentare, all’opposto, il trionfo della virtù, delle
prische virtù d’un tempo? Una
“ginecocrazia” di madri, spose, suore, sante?
Impossibile. Si è sorelle,
fidanzate, spose, madri, suore, s a n t e
solo se si ubbidisce alla norma, se si
rispetta l’ordine stabilito dalla morale e dalla natura, se si ama
sacrificandosi per l’amato, se si vive riuscendo a mantenere la verginale e
pudica modestia, acquisendo in tal modo quella semplicità che Dio elargisce alle anime a Lui devote, quella
divina semplicità della donna veramente femminile, che ammaestra e
ammansisce noi uomini, educandoci e arricchendoci…
Il
surrealista, nella sua demenza, sapeva quel che diceva: erano gli istinti a
doversi scatenare contro l’ordine morale e sociale “borghese” ancora eretto, nonostante tutto, su
quei fondamenti cristiani rappresentati dal matrimonio monogamico sacramentale
tra il maschio e la femmina, sulla famiglia, sulla prole. Era l’istinto sensuale, l’istinto del
piacere, la conseguente negazione di ogni autorità, la liberazione isterica dei
vittimismi, l’amore ridotto a sesso e passione, anche la più volgare, la più sordida….Era
tutto questo inferno che bisognava liberare, puntando innanzitutto sulle
donne, sulle loro fragilità: “What for
revolution, Marat, without general copulation?”: “A che scopo la rivoluzione, Marat, senza
l’universale fornicazione?”, un autore tedesco moderno (Peter Weiss) fa dire
retrospettivamente al “divino marchese”, nella sua pièce teatrale intitolata Marat-Sade,
degli anni Sessanta del XX secolo.
6. Carattere intrinsecamente distruttivo del
femminismo, innervatosi al marxismo.
Sedotta
dal Serpente, fu Eva a tentare Adamo e non il contrario. Sia l’uomo che la donna, accanto ai valori
positivi che sono capaci di realizzare, perché sono pur sempre esseri creati da
Dio, del quale possiedono l’immagine pur avendone perduto la somiglianza
in séguito alla Caduta, albèrgano, ognuno a modo loro, un principio
distruttivo, al quale si abbandonano quando perdono la fede in Dio e si
chiudono alla Grazia, consegnandosi alla cieca volontà di potenza, tanto
gradita al Tentatore. Nella donna il
principio distruttivo è apparso in epoca moderna attraverso il femminismo. Questa pseudo-filosofia rinnega la
femminilità nelle sue caratteristiche proprie e assume quelle della pur
disprezzata mascolinità, penosamente contraffatte. Muovendo dalla assurda
proclamazione dell’uguaglianza assoluta tra la donna e l’uomo, essa
respinge la vocazione della donna alla maternità e quindi al matrimonio, ai
figli, alla famiglia, alla casa, all’aiuto e alla consolazione, al sacrificio
di sé, al dare senza nulla pretendere in cambio…. Rivendica, al contrario, un “diritto”
della donna al piacere al di fuori delle giuste nozze, cosa che la morale
cristiana vieta anche agli uomini, per chi non lo sapesse. Tale piacere, ridotto a sesso separato non
solo dal matrimonio ma anche dall’amore, oggi la chimica moderna lo consente
senza i rischi di un tempo (grazie alla “pillola”) ma il prezzo che viene
pagato consiste (a tacer d’altro) appunto nella denatalità endemica, che
alla fine diviene cronica e provoca la morte delle nazioni. Del resto, rinnegando matrimonio e famiglia,
fondamento della società e della nazione, il femminismo respinge anche l’idea
di nazione, di patria; per esso, la
donna è come i proletari secondo Karl Marx, che non hanno patria: è un’entità
astratta, che si determina da se stessa in tutto ciò che vuole e fa, come se
appartenesse solo a se stessa. Scissa mentalmente persino dal suo sesso
biologico, come fa ad appartenere ad una nazione, riconoscere una patria:
una realtà organica costituitasi nelle generazioni, che l’educa e la
costruisce non come individuo in astratto ma già come donna cioè secondo il
sesso nel quale è nata?
Rivendica,
inoltre, il femminismo, il “diritto” delle donne a fare tutti i mestieri
e le professioni degli uomini, salvo dislocarsi dai compiti più gravosi (non
avendo le donne la forza fisica sufficiente) così che alla fine le donne stanno
negli uffici mentre gli uomini faticano nei compiti più duri. La presenza delle donne in tutte le forze
armate ha portato ad un generale abbassamento degli standard di addestramento (in
primis perché le donne hanno meno forza fisica, per natura), alla creazione di
una conflittualità permanente e di un clima promiscuo deleterio per la
disciplina militare. Ma deleteria, questa
situazione di promiscuità diffusasi dappertutto, anche per le attività
civili. Si è arrivati all’imposizione di
“quote” di donne sempre più ampie in tutti gli uffici e professioni (c.d.
“quote rosa”), a cominciare dalla politica.
Partecipare alle amministrazioni comunali o alla vita dei partiti in
verità non attrae molto la maggior parte delle donne. Ne segue che le donne partecipanti
appartengono spesso alla minoranza femminista, gay e gay-friendly. Così tanti posti della pubblica
amministrazione, della politica vengono avviluppati nelle “reti omosessuali”,
che sono anche maschili, ovviamente.
Queste “reti” o lobbies coinvolgono istituzioni nazionali e
internazionali, grandi e piccole. Da tempo esistono anche nella Gerarchia
cattolica, le ha di recente nominate il Papa Emerito, Benedetto XVI, Joseph
Ratzinger.
L’obiettivo
principale dell’attività di queste “reti” lgbt è rappresentato dallo smantellamento
e distruzione della famiglia tradizionale, del pari punto nodale
dell’ideologia marxista, perseguito con implacabile tenacia.
Si
è assistito a questo i t e r :
dalla
critica alla famiglia tradizionale, detta anche patriarcale, che è la
famiglia secondo natura dal momento che la si ritrova in tutte le società,
antiche e moderne -- un uomo prende una donna in moglie per averne dei figli da
allevare congiuntamente in una casa dove vivono tutti insieme, mantenuti dall’uomo o padre di famiglia col
suo lavoro, costituendo un’unità non solo economica ma anche e soprattutto
affettiva, spirituale, morale; dalla critica agli aspetti autoritari di questo
tipo di famiglia, si è passati alla
negazione della famiglia secondo natura in quanto tale. Ad essa si sono contrapposti, da un lato, il
semplice libertinaggio o libertà sessuale incondizionata che si dovrebbe riconoscere all’individuo,
alla donna (“dovete accettarci come siamo”), come se fosse un suo diritto;
dall’altro il supposto diritto della donna a costituire una famiglia non solo
come mera “unione di fatto” ma anche con essa stessa quale coniuge unico, con
uno o più figli (“madre singola”, single mother, cosiddetta) mantenuta a
spese della collettività, tanto l’uomo, il padre non sarebbe necessario
(famiglie di fatto o “unioni civili”, di coppia o mononucleari).
Qui il femminismo ha incontrato
l’omosessualismo, del resto in modo inevitabile, essendo l’ideologia femminista
intrinsecamente portata all’omosessualità (da sue esponenti spesso
propagandata), anche se ovviamente non tutte le femministe sono lesbiche. La connessione si è da ultimo saldata nelle
inaccettabili leggi che in Italia e altrove hanno istituito le cosiddette
“unioni civili”, riconosciute cioè nel Codice Civile, sorta di equiparazione
(dal punto di vista degli “effetti civili” cioè degli effetti riconosciuti
dall’ordinamento giuridico statale) delle famiglie di fatto ed anzi e forse
soprattutto delle madri singole alla famiglia tradizionale. Quest’equiparazione ha incluso anche le
unioni omosessuali, elevandole in tal modo a “unioni civili”, riconoscendo loro
determinati diritti, con tutte le conseguenze negative del caso, per ciò che
riguarda la figliolanza. Con le “unioni
civili”, le forze politiche di sinistra e i loro alleati hanno portato a
termine due anni fa la prima parte di quella che viene da loro chiamata Piattaforma
Cirinnà, dal cognome della senatrice postcomunista, femminista estrema,
che ha preso l’iniziativa di questa normativa.
La seconda parte è rappresentata appunto dal progetto di legge
Zan-Scalfarotto-Boldrini, contro la “omotransfobia” e, si è letto, “la
misoginia”, in discussione alla Camera a partire da lunedì 3 agosto 2020. La
senatrice Laura Boldrini ha dimostrato più volte di essere anch’essa femminista
estrema.
Il
sostegno principale a questa “piattaforma” è fornito dai postcomunisti del Partito
Democratico, una delle tante etichette adottate via via dai sopravvissuti
nostrani all’implosione dell’Unione Sovietica, defunta patria del “socialismo
reale” e madre di tutte le rivoluzioni e infiltrazioni comuniste del XX secolo. Costoro, tuttavia, continuano a mettere in
pratica gli insegnamenti dei loro maestri, Karl Marx e Friedrich Engels,
per i quali la famiglia, in quanto istituto borghese che servirebbe all’uomo
per sfruttare la donna come “strumento di produzione” per fabbricare figli (intesa
erroneamente la famiglia secondo lo schema dei conflittuali rapporti di
classe), è semplicemente da “abolire”: i figli devono esser allevati in comune,
dalla Comune, basta con questi orpelli “borghesi” rappresentati dalla famiglia
e dal matrimonio! I Postcomunisti
altro non sono che i comunisti di un tempo, che hanno dovuto metter
forzatamente nel cassetto i sogni di palingenesi rivoluzionaria senza per
questo rinunciare alla loro “critica” della società borghese, nella quale
vivono godendone tutti i vantaggi e vizi – consistendo la “critica”
innanzitutto nell’opera di costante e pervicace dissoluzione dell’etica e della
cultura di origine appunto “borghese”, dissoluzione che ha nella famiglia tradizionale
o secondo natura il suo primo e più ovvio obiettivo.
Nel
Manifesto del Partito Comunista, 1848, si invoca l’abolizione della
famiglia (Aufhebung der Familie).
Nelle giovanili undici Tesi su Feuerbach, pubblicate postume, e
sempre considerate un testo fondamentale della sua ideologia, Marx si esprimeva
in modo ancor più esplicito, nella Quarta Tesi, collegando la lotta
contro la famiglia alla lotta contro il cristianesimo: “Ora che si è scoperto essere la famiglia
terrena il segreto della Sacra Famiglia, la prima deve essere annientata [vernichtet]
sia dal punto di vista teoretico che da quello pratico”.[4] Questo annientamento dell’istituto
familiare stanno portando a compimento i comunisti, siano essi ante o post,
sempre fedeli alla loro perversa ideologia, con la complicità di tanti
pseudo-cattolici, laici e chierici. La proposta di legge contro la cosiddetta
“omotransfobia” è solo l’ultimo atto di
un assalto ormai quasi bisecolare.
7. Il progetto di legge contro la cosiddetta
“omotransfobia”: formulazione generica
passibile di ampie interpretazioni liberticide, inaccettabile promozione
dell’omosessualità nella società e nella scuola, ad ulteriore rafforzamento del
“regno della donna”.
Da quello che se ne è appreso dai giornali,
questo progetto è stato giustamente bollato, da più parti, inclusa la Conferenza
Episcopale Italiana, come “liberticida” perché prevede durissime condanne e
servizi sociali a favore delle comunità lgbt, non solo per chi compia atti
discriminatori o violenti o inciti a compierli nei confronti degli omosessuali o dei
bisessuali o dei transgender, ma anche per chi manifesti opinioni considerate “odio”
o incitanti all’odio nei loro confronti.
Il
disegno di legge Scalfarotto-Zan (relatore)-Boldrini unifica cinque diverse
proposte, presentate negli anni. Si
tratta di un Testo Unico che estende a tutela del mondo lgbt le sanzioni
inflitte dalla c.d. Legge Mancino a chi avesse compiuto o istigato a
compiere mediante opportuna “propaganda” atti discriminatori o violenti nei
confronti delle minoranze per motivi razziali, etnici, religiosi. Dopo l’introduzione di un articolo detto
“salva-idee”, su richiesta del partito Forza Italia di Silvio
Berlusconi, dal ddl viene esclusa la sanzione della c.d. “propaganda” per
rispettare la libera espressione delle idee anche in questa materia, a norma
dell’art. 21 della Costituzione repubblicana.
L’attivista
omosessuale Zan, un ingegnere patavino deputato del Partito Democratico, nella
sua Relazione, giustifica la necessità delle legge proposta al fine di
proteggere “gay, lesbiche, bisessuali e transessuali” dalle minacce, aggressioni e dai pestaggi, a suo dire
numerosi, se non qualificando questi ultimi come “reati d’odio” ossia prodotti
dalla cosiddetta omofobia. Ma,
come sottolineato dall’opposizione, egli non ha saputo fornire cifre che
giustificassero le sue affermazioni, restando nel generico, trincerandosi
dietro l’affermazione che molte aggressioni non vengono denunciate, che le
statistiche in materia non sono possibili.
Se non vengono denunciate, lui come fa a sapere che le aggressioni e i
pestaggi sono numerosi? In realtà le
cifre ufficiali in proposito mostrano numeri notoriamente bassi: 26,5 segnalazioni in media all’anno dal
settembre 2010 al dicembre 2018 (come riportato dal Centro Studi Rosario Livatino). L’Italia resta un paese civile. Per di più,
nel clima di lassismo morale pervadente tutto l’Occidente, anche da noi c’è
oggi ampia tolleranza per il fenomeno omosessuale.
Tanto
più ingiustificata appare dunque la pretesa di stabilire il reato di “omofobia”. La normativa esistente, come fatto rilevare
da più parti, è del tutto sufficiente a proteggere il mondo lgbt da insulti,
minacce e percosse. Ma tant’è. Si vuole dunque punire chi compie o istiga a
commettere cosiddetti “atti di discriminazione”, oltre che “per motivi
razziali, etnici, nazionali, religiosi” anche per quelli “fondati sul sesso,
sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”; oppure chi compie o istiga a commettere “atti
di violenza” o “atti di provocazione alla violenza” oltre che “per motivi
razziali, etnici, nazionali, religiosi” anche per motivi fondati “sul sesso,
sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Dove però la normativa attuale (o Legge
Mancino) sanziona “la propaganda di idee fondate sulla superiorità o
sull’odio razziale o etnico” non vengono aggiunti “il sesso, il genere, l’orientamento
sessuale e l’identità di genere”. Anzi,
come si è detto, nel ddl è stato aggiunto l’art. 3, che tutelerebbe la libertà
d’opinione in relazione alla proposta normativa. In tale articolo si afferma che: “ai sensi della presente legge sono consentite
la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte
legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”. Si tratta tuttavia, come ognun può vedere, di
una dizione alquanto generica che non fuga per nulla le forti preoccupazioni
suscitate da questo ddl.
Come
hanno notato gli studiosi del Centro Studi Rosario Livatino, il disegno
di legge e la Relazione acclusa dall’On. Zan, non specificano le categorie
usate, non ne tentano una definizione.
Non ci illuminano, per esempio, sulla natura degli “atti
discriminatori”. Quali sarebbero? Ciò significa lasciare al giudice “il potere
più ampio, oltre il limite dell’arbitrio, per riempire di senso e di contenuto
le categorie adoperate”.[5] Il quale giudice si troverebbe di fronte,
come basilare categoria ermeneutica da applicare, “anche la dimensione
multipla o intersezionale della discriminazione e della violenza”;
espressione oscura, che viene dal relatore così chiarita: “la dimensione, cioè, che investe diversi
aspetti della personalità allo stesso tempo:
ad esempio, una donna lesbica può subire discriminazione o violenza in
quanto donna e in quanto lesbica, o viceversa”.[6]
Ma
qual’è la logica di un criterio del genere?
Cerchiamo di fare degli esempi, ricavati, del resto, da situazioni del
tutto verosimili, di fatto verificatesi:
1. Una signora non assume una donna come istitutrice per le sue figlie
perché viene a sapere con certezza che è lesbica non perché sia una donna, dato
che proprio un istitutore di sesso femminile va cercando. Se si applica la “dimensione multipla e
intersezionale” bisogna dire che la lesbica è stata discriminata anche perché
donna? E quindi aumentare la pena? L’” intersezione” delle discriminazioni
appare del tutto assurda, dato che, nel caso di specie, a) è solo l’omosessualità la causa della sua
non-assunzione, non il suo sesso; b) solo una donna può evidentemente essere
lesbica. Oppure: 2. se una madre prende a schiaffi in pubblico
(come pure è successo) la lesbica trentenne che le ha sedotto la figlia
diciottenne, questa madre può esser condannata per aver compiuto “atti di
violenza” sulla donna oltre che sulla lesbica?
Ma una lesbica è per forza una donna e quindi questo raddoppiamento
della discriminazione o dell’atto di violenza, appare anche qui pleonastico ed anzi del tutto incomprensibile. A meno che la logica che ispira questo ddl
non sia quella di spargere il terrore minacciando il maggior danno possibile.
Ha
stupito, infatti, la durezza delle pene previste, assai più gravi di
quelle contemplate dalla Legge Mancino, alla quale sono state aggiunte sanzioni
accessorie, costituite da attività sociali a favore di comunità lgbt. Si può esser condannati sino a due a quattro
a sei anni di carcere. Se la condanna è
inferiore a due, si può esser costretti ad andare a lavorare gratis per le
comunità lgbt, come forma di “rieducazione” evidentemente! Giustamente, gli studiosi del Centro
Livatino sottolineano che un “canone esegetico” come quello della
cosiddetta “dimensione multipla e intersezionale” della “discriminazione” farà
in modo che “il tot capita tot sententiae” da parte dei giudici “divenga la
regola. E ciò in un contesto non già di
accademia, al cui interno dilettarsi su come intendere “l’identità di genere” o
l’”orientamento sessuale”: bensì in un
contesto di giustizia penale, che prevede sanzioni fino a un massimo di sei
anni di reclusione; sanzioni che, oltre a essere in sé pesanti, permettono di
utilizzare strumenti di indagine come le intercettazioni (per le quali è
sufficiente un limite sanzionatorio massimo di cinque anni) e imporre misure
cautelari restrittive della libertà, fino al carcere.”[7]
La
senatrice Laura Boldrini ha affermato che, con l’ articolo cosiddetto
“salva-idee”, le legittime opinioni dissenzienti verrebbero salvaguardate,
ragion per cui non c’è da aver paura di questa legge. Ma per l’onorevole senatrice il ddl antiomofobico
e antimisoginia andava evidentemente bene anche senza quest’articolo, visto che
esso è stato imposto da pressioni esterne; le andava bene che contemplasse anni
di galera per chi avesse, putacaso, osato menzionare le severe condanne
neotestamentarie dell’omosessualità o semplicemente criticato il carattere
delle donne, in quanto tali! In ogni
caso, l’ottimismo della senatrice appare alquanto prematuro.
Andiamo, infatti, nel particolare. Limitandoci alla categoria degli “atti
discriminatori” interpretabili come “atti di odio” (omofobici o hate
crimes) da parte di un giudice in base a questo ddl, quali potrebbero essere questi atti? Per
forza di cose opinioni coinvolgenti i valori fondamentali, opinioni che sempre di
per se stesse irritano la controparte, anche se espresse in maniera cortese. Se dico o scrivo che per me, come cattolico e
persona normale, l’omosessualità maschile e femminile, turpibus adflicta
conubiis, è in sé un disordine grave che rovina gli individui che ne
soffrono e crea il deserto nelle società dove prenda piede, perché, oltre ad
altri aspetti negativi (per la morale e la salute pubblica, a causa della
diffusione di una malattia come l’AIDS), distrugge la famiglia e non fa più
nascere bambini, quest’opinione dovrebbe
esser considerata “omofobica” ossia piena di odio per gli omosessuali e
meritevole di condanna ad anni di galera? Ma i nostri politici e legislatori lo
possiedono ancora il “senso del diritto”? E, comunque, anche se questa opinione
può causare inevitabile irritazione, dove sarebbe qui l’odio? Se si vogliono ammettere solo opinioni che
non irritano nessuno, allora si dica apertamente che si può parlare solo del
tempo, o di varia letteratura, o di giardinaggio e via dicendo. Gli attivisti lgbt non distinguono la
condanna del peccato da quella del peccatore, fanno di ogni erba un
fascio. Ma Cristo Nostro Signore e la
Chiesa da Lui fondata hanno sempre distinto.
Il Verbo si è incarnato proprio per salvare i peccatori (Mc 2, 17),
proprio per questo Egli è sempre severo col loro peccato, affinché se ne
rendano conto e tornino sulla retta via.
Se
poi affermo che per me questo disordine o vizio, secondo la dizione
tradizionale, è una patologia meritevole di cure appropriate, sul piano strettamente clinico (soprattutto
psichiatrico e psico-analitico) e anche su quello, più profondo, dei valori,
dello spirito, con l’auspicare la conversione a Cristo del peccatore, per il
bene della sua anima: anche qui, ripeto,
dove sarebbe l’odio? Ma se queste
opinioni, che riflettono quanto sempre insegnato dalla Chiesa cattolica
sull’argomento nonché l’opinione di moralisti e pensatori, come l’ultimo
Platone ad esempio, e l’opinione della gente normale di tutti i tempi, possono
rientrare negli “atti discriminatori”, allora l’art. 3 c.d. “salva-idee” altro
non è che una inutile foglia di fico.
Ma
su che base si può affermare che le opinioni, laiche o religiose, di critica e
condanna morale del fenomeno omosessuale in tutti i suoi aspetti possono esser
fatte rientrare negli “atti discriminatori” del ddl, visto che il contenuto di
questi atti è stato lasciato all’interpretazione del giudice? Perché la maggioranza dei giudici, a sua
volta, si conformerà inevitabilamente ad una certa prassi sociale nel
determinare il carattere “discriminatorio” o meno di questi “atti”. E nel sociale troverà che questi atti,
che le opinioni anche rispettosamente ma fermamente critiche del fenomeno
omosessuale, sono proprio quelle che i grandi media, la blogosfera lgbt e
omofila condannano nel modo più radicale e non poche volte anche violento, con
derisioni, sbeffeggiamenti, insulti, a volte seguìti da azioni fisiche di
disturbo, generalmente impunite. Senza
arrivare agli attacchi massicci delle lesbiche organizzate quali forsennate
Menadi per devastare e bruciare le chiese in Argentina e in altri paesi
sudamericani, difese le chiese (a volte) da passive catene umane di fedeli,
quasi tutti uomini; senza arrivare (ancora) a questo, un esempio di intolleranza
anticattolica da parte della comunità lgbt lo abbiamo di recente avuto nel
noto episodio accaduto nel paese di Lizzano (TA), il 14 luglio scorso.
Il
locale parroco aveva consentito ad un gruppo di preghiera di organizzare dentro
la sua chiesa una veglia di preghiera per invocare l’aiuto divino affinché
venisse bloccato l’iter del ddl Zan.
Scopo perfettamente lecito per dei cattolici, dal momento che la figura
di reato ipotizzata dal ddl trasformerebbe in fattispecie criminosa anche
l’insegnamento del Catechismo sull’omosessualità. Ma, come è noto, attivisti con la bandiera
dell’arcobaleno hanno cominciato a disturbare rumorosamente dalla piazza
prospiciente la chiesa. Allora il
parroco, preoccupato, ha chiamato a
protezione i carabinieri che hanno proceduto, come da prassi, a identificare i
disturbatori. Ciò ha provocato
l’intervento polemico del sindaco, di sesso femminile, che ha invitato i
carabinieri a schedare piuttosto chi era dentro la chiesa, come se la veglia di
preghiera regolarmente autorizzata e in un luogo chiuso fosse un’attività che
disturbasse l’ordine pubblico! Questa stessa
persona ha poco dopo emesso comunicati on line dichiaratamente omofili
nei quali eccepiva sui contenuti di questa veglia di preghiera. Ma l’atteggiamento del sindaco è stato
superato dal commento in rete di un attivista lgbt, membro di una “piattaforma”
gay cattolica (ci sono anche queste, evidentemente, a riprova del fatto
di quanto sia oggi tollerata l’omosessualità nella nostra società, persino dalla
Gerarchia cattolica).
“Mi
dispiace per il parroco di Lizzano, ma questa è precisamente una di quelle
azioni che giustamente la legge Zan potrebbe punire. Perché sfido chiunque a credere che si tratti
davvero di una preghiera da non considerare come gesto provocatorio e di
istigazione all’odio. Fateli pure, i
vostri rosari blasfemi. Saranno gli
ultimi”.[8]
Dunque: l’attivista glbt può permettersi di
apostrofare noi cattolici in maniera arrogante e offensiva, e di dileggiare in
maniera questa sì blasfema la recita del S. Rosario. Ma la cosa che colpisce è che, secondo
l’autentica dello spirito del ddl Zan fornita da costui, ci si deve rifiutare
di credere che quei Rosari fossero preghiere e non invece “un gesto
provocatorio e di istigazione all’odio”.
Quella veglia di preghiera si limitava a supplicare il Signore, tramite
l’intercessione della Santissima Vergine, di non lasciar passare un decreto il
cui contenuto non poteva essere accettato da chi fosse rimasto cattolico
credente e coerente, in quanto giustificante il peccato contronatura, secondo
la dizione tradizionale, ossia un comportamento di per sé gravememente contrario
alla morale cristiana, alla legge divina e naturale. Ora, una tale supplica,
che si effettuava in luogo chiuso e di proprietà della Chiesa, era o no
perfettamente lecita secondo l’art. 21 della Costituzione? Impetrata per non far passare un disegno di
legge proponente una normativa a difesa di quelli che per i cattolici sono e
restano peccati gravi e tale da impedire praticamente l’insegnamento dell’etica
cristiana, racchiuso nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Dove stanno qui la
provocazione e l’istigazione all’odio?
La realtà è che, come si è detto, ogni osservazione loro rivolta sul
piano dei valori, ribadente princìpi non negoziabili, è sentita dagli attivisti
lgtb come cosa insopportabile, vera e propria istigazione all’odio nei loro
confronti. Ma valga il vero: nel caso
di specie, l’unica istigazione all’odio è stata quella dell’attivista lgbt
il quale si augura in toni sprezzanti che la futura legge Zan possa chiudere la
bocca, infliggendo loro anni di galera, a tutti quei devoti che pregano
affinché non siano violati i divini comandamenti e la Chiesa non sia
perseguitata. Abbiamo qui un invito
piuttosto esplicito alla persecuzione dei cattolici, tipico di un “attivismo”
che applica sistematicamente il linciaggio mediatico contro le opinioni ad esso
sgradite. Grida sempre più alte della
comunità lgbt inveiscono contro la nostra religione perché essa inciterebbe
all’odio contro gli omosessuali in generale, in tutte le loro varie
configurazioni, per così dire. Ma è
vero il contrario: il ddl Zan è il
tentativo di coagulare in una legge dello Stato l’odio sempre più forte che la galassia gay e omofila attiva sui sociala
media sembra manifestare ogni giorno di più nei confronti del
cattolicesimo.
Ma
in questo disegno di legge nuota anche l’avversione delle femministe per il
maschio, per l’uomo, in generale.
Non si spiegherebbe altrimenti l’inclusione della misoginia tra
le figure di reato da punire. Di questa, i critici del disegno di legge non
sembrano tener particolarmente conto, anche perché non emerge in modo distinto
dal contesto. Da dove risulterebbe? Forse dalle voci “sesso”, o “genere” inserite nella lista delle possibili figure di
reato? Atti di discriminazione o violenti
nei confronti di una donna perché donna?
E per ciò che riguarda le opinioni, considerate come “atti di
discriminazione”: le critiche alle donne, in quanto tali? Ci rendiamo conto, se
questo è il caso, di dove ci stanno portando, recitando sempre la parte delle
vittime : anni di galera per aver detto,
che ne so, che le donne non sono portate per il mestiere delle armi né per fare
tutti i mestieri degli uomini; sono tendenzialmente isteriche, assai più degli
uomini; o bisbetiche; o poco portate all’astrazione, alla speculazione, più
intuitive che razionali e via
discorrendo? Ma i misogini non costruiscono stereotipi? Anche ammettendolo, in
una certa misura, condannarli come reati non significa cadere nella farsa? Volete, dunque, ammettere
solo opinioni che non diano fastidio a nessuno e soprattutto ai signori del
“politicamente corretto”?
Non
ci si accorge del ridicolo nel voler far rientrare la “misoginia” fra i reati di opinione? Chi è il misogino se non colui che manifesta
un’opinione, in vario modo e a volte ridicolmente negativa
sulle donne e la mantiene? Le preziose ridicole, commedia nella quale
Molière mette alla berlina le donne intellettuali, dovremo cassarla dalla letteratura
mondiale sotto l’imputazione di esser affetta da “misoginia”? E La bisbetica domata di Shakespeare?
E Lady Macbeth, è forse un
personaggio “politicamente corretto”? E che dire de Le donne in assemblea di
Aristofane, satira feroce delle donne al governo degli Stati? In ogni
caso, non dovrebbe anche l’opinione del misogino esser protetta dall’art.
“salva-idee”? Anche qui, sarà il
magistrato a decidere, interpretando liberamente, se criticare certi aspetti
del carattere delle donne o farne la satira meriti anni di galera o meno.
Nessun
cattolico che sia veramente tale, ma anche nessun laico di sani princìpi, può
condividere un documento come il ddl Zan.
Dietro l’apparenza di difendere dei poveri perseguitati per tendenze che
sarebbero “innate”, bisognosi di “compassione”, di “inclusività”, di
“rispetto”, esso promuove in realtà una ampia strategia offensiva:
mira chiaramente a promuovere, diffondere, accreditare e
persino imporre l’omosessualità in tutta la società. Infatti, come è stato sottolineato dai suoi
critici, il progetto di legge chiede l’istituzione di una “Giornata nazionale
contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia al fine di
promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i
pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale etc.” (art. 5 del
testo unico). E per questa giornata, che
dovrebbe aver luogo il 17 di maggio di ogni anno, si dovrebbero
organizzare “cerimonie, incontri e ogni
altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo
particolare nelle scuole di ogni ordine e grado..” (art. 5, co. 3). Riappare
dunque lo spettro della c.d. “educazione gender” nelle scuole “di ogni ordine e
grado”, la corruzione della gioventù sin dalle scuole elementari con
l’omosessualismo e l’erotismo, promuovendo tra i fanciulli e le fanciulle la
nudità, la masturbazione, i giochi che invitano a scambiare l’identità sessuale,
etc.; pratiche infami e ripugnanti frutto di menti torbide, di spiriti malati,
già in fase di attuazione in vari Stati – in Germania le chiamano “educazione
alla diversità” – cose che gridano
vendetta di fronte a Dio, suggerite ora anche dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità, un’istituzione evidentemente ben avviluppata anch’essa nelle
“reti” di cui sopra!
Sono
richiesti (all’art. 8 del ddl) anche finanziamenti statali alle comunità lgbt,
che già ne godono, nonché statistiche ISTAT almeno ogni tre anni per rilevare
“gli atteggiamenti della popolazione” nei confronti della problematica trattata
dal ddl Zan. Questo riferimento agli “atteggiamenti” conferma, come
sottolineano gli studiosi del Centro Livatino, la “genericità che
attraversa l’intero articolato”, cioè l’intero documento, relazione Zan
compresa. Che vuol dire, infatti, “atteggiamenti della popolazione”? Quali
“atteggiamenti”?[9] Sono gli “atteggiamenti”, regno del vago e
dell’ondivago, forse cosa della quale dover prender nota in sede scientifica?
La
“genericità” dei concetti che sostengono il ddl Zan è tipica di proposte legislative di questo tipo.
Nel presente tenebroso e drammatico momento storico, esse abbondano nelle
nostre società. Una delle più recenti
sta avendo luogo nella semi-indipendente Scozia, il cui premier, Nicola
Sturgeon, leader dello Scottish National Party , è una donna
protagonista di molteplici iniziative politiche gay-friendly, cioè omofile, a
vasto raggio. Si tratta del progetto di
legge denominato Crimini ispirati dall’odio e ordine pubblico (Hate
Crime and Public Order Bill), per certi aspetti l’equivalente scozzese del
ddl Zan. Hanno chiesto preoccupati chiarimenti sul progetto la Conferenza
episcopale di Scozia e la Libera Chiesa Presbiteriana di Scozia mentre la
Federazione della Polizia Scozzese ha mosso alcuni rilievi. Su un punto essenziale le critiche concordano: la nozione di “crimine ispirato dall’odio” (hate
crime) è troppo generica e indefinita, la sua applicazione rischia di
violare le “libertà civili”, tra le quali la libertà d’espressione. Il dibattito verte sulle due nuove figure di
reato: “reato provocato dall’odio” e
“di incitamento all’odio”; nonché “possesso di materiale incendiario”, che può
cioè infiammare gli animi, spingendoli all’odio. Ebbene, anche in Iscozia le
condanne dell’omosessualità contenute nei Testi Sacri e nel Catechismo
potrebbero rientrare nel reato di “incitamento all’odio” mentre la Bibbia
potrebbe essere considerata, nel suo insieme, “materiale che incendia gli animi”
ossia “inflammatory material”. I
cattolici scozzesi hanno una lunga esperienza di “crimini ispirati dall’odio”,
essendo oggetto ancor oggi di violenze individuali di vario tipo da parte della
maggioranza presbiteriana, ossia composta da calvinisti, da sempre tra i più
accaniti nemici del cattolicesimo.
Ma
anche in Iscozia la secolarizzazione sta portando al prevalere di un laicismo
sempre più aggressivo, quello appunto della Rivoluzione Sessuale, del “regno
della donna”. Nel 2004 la Scozia ha
avuto una legge che riconosce il c.d. “gender” (Gender Recognition Act)
nella quale si dichiara esser il sesso e il genere una realtà “fluida e
mutevole”: in tal modo, il sesso nel quale la natura ci fa nascere perde
assurdamente ogni carattere obiettivo per diventare (potenza del legislatore!)
un’opinione del soggetto, variabile come tutte le opinioni! Questo soggettivismo, fatalmente
comune a tutta la legislazione pro-gay, pro-gender etc. incide negativamente
anche sulla determinazione delle fattispecie di reato, lasciate in sostanza ai soggetti
che si reputano offesi da certi comportamenti o commenti (vedi supra). La Chiesa Presbiteriana ha concluso, sulle due
nuove figure di reato: “In particolare,
siamo preoccupati dalla mancanza di chiarezza per ciò che riguarda il concetto
dell’incitamento dall’odio. Le due
violazioni sono incredibilmente soggettive nel decidere quando un certo
materiale sia effettivamente offensivo o incendiario. Vi sono state persone denunciate alla polizia
per potenziale incitamento all’odio per aver messo in evidenza versetti della
Bibbia. Potrebbero allora [con la nuova
legge] le corti secolari decidere che la Bibbia è in se stessa materiale
incendiario che dovrebbe essere confiscato e distrutto?”.[10]
La
confusione causata da queste nuove categorie che si vogliono introdurre nella
legislazione e nella vita pubblica, dipende innanzitutto dal fatto che esse sono
in se stesse confuse, perché espressione di una realtà intrinsecamente
contraddittoria, come quella del c.d. “gender” ossia di un sesso che si
pretende diverso da quello naturale posseduto, senza che in realtà lo sia né
possa esserlo (“persone transgender (o trans) sono persone che si identificano
con un genere diverso da quello assegnato loro alla nascita”).[11] Il maschio o la femmina biologicamente tali
che credano appartenere al sesso opposto, soffrono di evidenti problemi
psichici. Ma chi obbliga i legislatori a
seguirli nelle loro singolari fantasie?
Il voler seguire e persino incoraggiare queste “minoranze” comporta
allora una impressionante confusione nei concetti, per restare sul solo piano
dei concetti. L’ultimo esempio in
materia l’abbiamo ancora dalla Scozia.
L’ esecutivo della solerte Salmon si propone di portare addirittura al
50% del totale il numero delle donne in tutti gli impieghi pubblici: il “regno della donna” si consolida. A questo fine, nel definire cosa si debba
intendere con donna, ha incluso nella categoria donna anche gli
uomini considerati “gender-confused” ossia quegli uomini che, pur senza
vestirsi da donne o comportarsi in modo particolare, usino pronomi solo al
femminile, un nome femminile sui loro documenti ufficiali etc. (Gender
Representation on Public Boards Act, 2018).
Costoro, anche quelli il cui sesso è “in via di ridefinizione” [sex-reassigning],
non sono biologicamente donne ma biologicamente uomini che però (mentalmente)
identificano se stessi come donne e
pretendono di esser trattati come donne.
Ma
proprio in Iscozia un gruppo femminista, Women Scotland, è intenzionato
a far causa al governo sulla questione.
Il gruppo fa notare che “il sesso è immutabile ed è una caratteristica
protetta [dalle leggi]”. La normativa
governativa in questione “viola l’essenza stessa della Legge
sull’Uguaglianza (Equality Act, 2010), decenni di legislazione
anti-discriminatoria, ed è incompatibile con le leggi della UE”. In sostanza, secondo il gruppo femminista, “questa
nuova legislazione contraddice l’essenza stessa di quello che il diritto
intende con ‘donna’. Così si introduce l’auto-identificazione del sesso dalla
porta di servizio”.[12] Così il gruppo femminista scozzese, al quale,
come ad altri gruppi femministi, non sta bene, giustamente, trovarsi in sgradita
e persino umiliante promiscuità (nelle carceri, nelle toilettes, negli
spogliatoi delle scuole, delle palestre etc) con uomini che si dichiarano donne
(magari per motivi inconfessabili) mentre in realtà, a tutti gli effetti, sono
e restano uomini.
Ma
questa confusione, che sta diventando in questo campo sempre più vasta oltre
che sempre più sgradevole, nel Regno Unito e anche negli USA, non sarà per caso
uno dei tanti frutti velenosi dell’ugualitarismo dominante, dell’aver
voluto imporre l’idea sbagliata che uomini e donne devono ritenersi assolutamente
uguali, onde il definire e mantenere le differenze tra di loro
esistenti, anche quelle biologiche, diventa automaticamente una discriminazione,
non solo esecrabile ma anche punibile? È il concetto stesso di discriminazione,
l’uso errato e persino aberrante che se fa, che va radicalmente rivisto,
se si vuol cominciare a rimettere le cose in ordine. E in questo disagio, le femministe, bisogna
dire, non raccolgono forse quello che hanno sventatamente seminato in tutti
questi anni? Che, in nome della falsa uguaglianza assoluta col maschio, il c.d.
“orientamento sessuale” si dovesse considerare del tutto soggettivo, una libera
determinazione del soggetto contro “i ruoli” diversi ma complementari che non la natura ma la società avrebbe imposto a
maschi e femmine: questo a loro, alle femministe, andava bene finché non sono
apparsi sulla scena nerboruti soggetti biologicamente maschi che si
dichiaravano femmine per penetrare negli “spazi” femminili per il loro piacere,
seminandovi lo sconcerto e la vergogna.
Nel
1970, l’anno delle riflessioni di Del Noce, una famosa femminista americana, la
lesbica Kate Millet, nel suo best-seller Sexual Politics, scriveva che
“l’eterosessualità altro non era che ideologia”, essendo la sessualità
nient’altro che una creazione della “cultura” e dell’”educazione”. Questa incredibile falsità veniva diffusa anche
da media di prestigio, come la rivista New
York Book Review: nello stesso torno di tempo decretava che “se uno dice ad
un ragazzo che è una ragazza e lo alleva come tale, costui si comporterà in
tutto come una ragazza”. Tanta sicumera
derivava dalla fama del successo dell’apparente trasformazione in femmina di Bruce
Reimer, il ragazzo canadese
sottoposto a chirurgia per farlo diventare ragazza, a partire da quando aveva
solo 22 mesi, avendogli un sanitario, incaricato di circonciderlo (al fine di
guarirlo da una leggera malformazione), con uno strumento elettrico per errore bruciato
e in parte mutilato il pene. I genitori
del poveretto lo misero nelle mani di un fanatico precursore della Gender
Theory, uno psicologo neozelandese, di nome John Money (1921-2006), che,
soprattutto in televisione, si era fatto la fama di innovatore nel campo della
sessualità. Bruce diventò Brenda, sembrava una bella ragazza dai lunghi
capelli. Ma era tutta un’impostura, il bambino e poi ragazzo non ne voleva
sapere di essere una ragazza, si ribellava, a casa stracciava i vestiti da
donna e rompeva le bambole, a scuola andava male, odiato da tutta la classe. Nonostante le operazioni inflittegli da Money
e le massicce dosi di ormoni, Bruce ebbe una pubertà da maschio, si affidò agli
ormoni maschili, si fece chiamare David (contro Golia), a 13 anni uscì dalle
grinfie di Money, recuperò per quanto possibile l’uso dei suoi genitali, si
sposò. Ma nel 2004 si uccise con un fucile da caccia, a 39 anni. L’anno precedente anche il suo fratello
gemello, coinvolto da Money per anni nell’esperimento del fratello come
“osservatore scientifico” (un incubo che lo rese schizofrenico), si era
suicidato, ingerendo sonniferi.[13]
Questa
è in sostanza ancor oggi la tesi del tutto assurda prevalente presso le
femministe, tanto più se lesbiche: che il sesso sia una cosa mutevole, una
costruzione culturale, sociale, modificabile secondo l’inclinazione dell’individuo
e manipolabile quanto alla sua per così dire fisicità. Ma quelle tra loro più perspicaci si vedono
oggi costrette, contro la loro stessa ideologia, a riaffermare l’elementare
verità che “il sesso è immutabile” e non può essere il risultato di una
“auto-identificazione”; detto in altri termini: non lo stabiliamo noi a quale
sesso appartenere, l’ha già stabilito irrevocabilmente la natura, quando siamo
nati. Perciò: giù le mani dalla
femminilità, donne si nasce, non si diventa (checché ne pensasse Simone de
Beauvoir, l’inventrice della parola d’ordine: “donne si diventa”)!
Dal
riappropriarsi di questa fondamentale verità, le femministe non potrebbero per
il bene di tutti trarre rapidamente le necessarie conseguenze? Vale a dire:
a. il sesso è “immutabile” con tutte le sue
caratteristiche, nessuna esclusa; e se è immutabile quello femminile lo sarà
anche quello maschile; ragion per cui, b.
l’esser femmina è immutabile e non può esser arbitrariamente considerato un
esser maschio e viceversa; onde, c.
le differenze che biologicamente connotano l’esser femmina rispetto
all’esser maschio sono tali per natura e non possono esser eliminate né con un atto della mente né con interventi
medico-chirurgici, che possono solamente alterare la femminilità o la
mascolinità originarie, senza farle mai venir meno. Ne consegue che, d. a causa delle insuperabili differenze,
femminilità e mascolinità non possono esser considerate uguali : la loro biologia lo esclude. E difatti, e. sono sempre state
considerate distinte, diverse ma complementari, integrantisi a vicenda, in
relazione alla procreazione, ma anche alla vita in comune e alla visione della
vita, al patrimonio dei valori.
Perciò: f. il mito dell’uguaglianza
assoluta tra l’uomo e la donna (da imporre nella vita civile con le leggi e ora
anche con la minaccia del carcere) dovrebbe esser finalmente abbandonato, assieme
a tutte le sue aberranti conseguenze, in favore del ristabilimento delle
differenze, nel giusto modo. Bisogna
tornare alla ragione e al buon senso, a riinsegnare la verità: le differenze
fisico-biologiche hanno un peso anche sul piano psico-fisico, sulla psiche,
sullo spirito in generale, sulla mentalità, intrecciando ciò che è uguale e ciò
che è diverso nei due sessi in una rete che deve esser svolta e riavvolta
sempre con estrema cura.
8. Il “regno- della donna” ci vuol obbligare
a “vivere nella menzogna”.
In
una breve, famosa lettera agli intellettuali e al pubblico, intitolata Vivere
senza menzogna, del 12 febbraio 1974, quando fu arrestato per esser il
giorno dopo espulso dall’URSS, il grande scrittore russo Alexander Solženicyn,
impavido avversario del regime comunista, dal quale era stato a lungo
perseguitato, nel fustigare l’atteggiamento passivo dei suoi connazionali,
scrisse:
“Non
tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa:
da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana partecipazione alla
menzogna: non occorre altro per essere
sudditi fedeli.
Ed
è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una
chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: IL
RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche
se domina dappertutto, su un punto siamo almeno inflessibili: che non domini PER OPERA MIA!
È
questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi,
la più distruttiva per la menzogna.
Poiché se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di
esistere. Come un contagio, può esistere
solo tra gli uomini.
Non
siamo chiamati a scendere in piazza, non siamo maturi per proclamare a gran
voce la verità, per gridare ciò che pensiamo.
Non è cosa per noi, ci fa paura.
Ma rifiutiamoci almeno di dire ciò che non pensiamo.”[14]
Nella
persecuzione che il “politicamente corretto” sta da tempo preparando,
nell’Occidente che si autodefinisce democratico, per tutti gli uomini liberi e in
particolare per noi cattolici, domina una menzogna in modo
particolarmente sfacciato: quella della Rivoluzione Sessuale, attraverso la
quale prospera il “regno della donna”.
Il vizio lo si vuol imporre come virtù, la virtù condannarla come vizio.
Tra le tante manifestazioni di questo mondo capovolto, anche il disegno di
legge Zan, particolarmente grave. Le sue pretese si basano sulla menzogna.
8.1 La menzogna dell’origine biologica
dell’omosessualità
1. Innanzitutto, la menzogna implicita nel ddl
secondo la quale la scienza avrebbe dimostrato che l’omosessualità è in certi
soggetti innata, come se fosse un “orientamento sessuale” naturale, da
“includere”, “rispettare”, incrementare e proteggere persino con sanzioni
penali particolarmente pesanti. La
scienza fonda le sue certezze biologiche sui cromosomi e sui geni: il cromosoma
e il gene dell’omosessualità non sono mai stati trovati. Le pretese “scoperte” in questo campo, anni
fa strombazzate con grande clamore dalla stampa internazionale, non hanno
nessuna base scientifica, sono state demolite dagli scienziati seri.
Nessuno
è mai riuscito a dimostrare l’esistenza di un “gene gay” né di un “cervello
gay”, nonostante i ripetuti tentativi di ricercatori, a loro volta gay
dichiarati. Le loro ipotesi non hanno retto all’analisi. Il mondo scientifico sa benissimo che non si
è in alcun modo riusciti a dare consistenza al concetto di “orientamento
sessuale” innato, da applicarsi all’individuo praticante l’omosessualità al
fine di giustificarlo su base biologica.
A che titolo, allora, l’omosessualità è stata derubricata dalle patologie
dalla American Psychiatric Association, nel 1973? Di sicuro, senza alcuna giustificazione
scientifica ma solo sulla base di ingiustificati impulsi emotivi, dovuti ad un
malriposto senso di compassione (che, come dice l’antica saggezza, deve
rivolgersi al peccatore ma mai al suo peccato).
Come ha ricordato il dr. Gerard J.M. van den Aardweg, psicoterapeuta
olandese di fama internazionale, specializzato nella cura delle persone
omosessuali, “nonostante la presenza dominante dell’ideologia gay nelle
istituzioni politiche e accademiche, il British Royal College of
Psychiatrists ha emesso nel 2014 una
Presa di posizione ufficiale, che sostiene non esser l’omosessualità
una variante innata della sessualità.
Si pensa, invece, che essa sia causata, affermano gli psichiatri
britannici, da una combinazione di fattori biologici (fisici) e ambientali. Ma la Presa di posizione non indica
quali siano tali fattori biologici e ambientali, quindi la spiegazione offerta
rimane una vaga intuizione senza fondamento scientifico. Probabilmente, menzionando i fattori
biologici essi avevano in mente la vecchia teoria – ostinatamente riproposta –
di una certa qual femminizzazione ormonale o cerebrale negli omosessuali, e di
una maschilizzazione nelle lesbiche. Ma
il punto è che essi non hanno studiato la mole considerevole dei documenti di
ricerca in proposito, nei quali non si trova alcuna prova dell’esistenza di
fattori biologici, mentre si possono chiaramente identificare prove riguardanti
i fattori ambientali. Il Royal
College non ha nemmeno menzionato i fattori ambientali concreti: non si conoscevano i documenti che li
definiscono o si aveva paura di avventurarsi in un territorio troppo
politicamente scorretto? Infatti,
parlare di cause psicologiche sociali dell’omosessualità avrebbe esposto gli
psichiatri alle ire della consorteria “pro-gay”. Ma logicamente, il riconoscimento del fatto
che gli elementi ambientali sono necessari affinché sorga un’attrazione nei
confronti di persone dello stesso sesso, comporta la negazione della
predeterminazione all’omosessualità: in
assenza di fattori ambientali, il desiderio contro natura non prende
piede. Quest’ultimo punto di vista apre
quindi prospettive per la prevenzione e il cambiamento. Ciò che non è innato bensì è la conseguenza
di influssi ambientali mediante ciò che si definisce [con termine tecnico]
“apprendimento” (esperienze, abitudini, traumi), è in linea di principio
suscettibile di cambiamento. Pertanto,
la Presa di posizione respinge uno dei due presupposti chiave della
propaganda degli attivisti gay, quello che suona: “sei nato in quel modo”. Inoltre, essa mina anche – indirettamente –
il loro secondo presupposto:
“l’omosessualità non si può cambiare (o prevenire)”.[15]
Il
dr. van den Aardweg è cattolico, di un orientamento che possiamo definire
tradizionale o comunque conservatore. Se
qualcuno ritiene che egli neghi il supposto carattere biologico ossia innato
dell’omosessualità perché cattolico “puritano”, “bigotto”, si vada a leggere
quanto scrive il celebre neurobiologo inglese Steven Rose, israelita
ateo dichiarato e militante, di tendenze che possiamo definire liberal in senso radicale sul piano
etico-politico. In uno dei suoi ben noti
testi divulgativi sul funzionamento del cervello, irride senza tanti
complimenti alle ricerche volte a scoprire il gene o il cervello “gay”,
affermando che non sono scienza ma pura fantasia, “speculation”,
oltretutto imbarazzanti perché, in certi passaggi, sembrano rivelare le
“bizzarre fantasie sessuali” che ossessionano la mente del ricercatore.[16]
Anche
un illustre psichiatra statunitense, il dr. Paul McHugh, MD, Distinguished
Professor of Psychiatry nella Facoltà di Medicina della Johns Hopkins
University, ha ribadito, con ineccepibili argomenti, l’impossibilità di
dimostrare un’origine biologica dell’omosessualità ovvero di considerarla una
“orientamento sessuale” naturale.
Data la sua grande competenza, fu prescelto nel ruolo di Amicus
Curiae o “amico della Corte”, persona autorevole che informa la Corte
Suprema su questioni in discussione che appaiano incerte. Si tratta di
richiamare l’attenzione della Corte su di un punto che potrebbe risultare
trascurato. La Lettera dello Amicus Curiae mira a provvedere la
Corte con la conoscenza necessaria per decidere nel modo giusto. In questo ruolo, il prof. McHugh, cattolico
praticante, presentò alla Corte Suprema degli Stati Uniti una Lettera invitando
quel Consesso a non prendere in considerazione l’orientamento sessuale quale
motivo sufficiente ad includere i gay in una categoria meritevole di essere
protetta nei suoi “diritti”, incluso quello di contrarre “matrimonio” con persone
dello stesso sesso. Purtroppo, come
sappiamo, la Corte decise altrimenti, nel giugno del 2015, durante la
Presidenza dell’omofilo e abortista Barak Obama, con una maggioranza di 5 a 4,
stabilendo che nessuno Stato dell’Unione potrà rifiutarsi di riconoscere a
quelli che abbiano celebrato il cosiddetto “matrimonio” omosessuale gli stessi
diritti dei quali godono le persone regolarmente sposate.
Come
sosteneva il suo argomento il prof. McHugh?
Estraggo dalla Lettera: “Egli
compare in veste di amicus per discutere se l’orientamento sessuale,
allo stesso modo della razza e del genere, sia una categoria chiaramente
definibile (discreta) oppure una caratteristica immutabile e definita. Questi fattori sono rilevanti se questa Corte
dovesse dichiarare l’orientamento sessuale una possibile nuova classe da
prendere in considerazione. Basandosi
sullo stato corrente della ricerca scientifica, ne conclude che l’orientamento
sessuale non rientra in nessuno dei due [fattori]”.[17]
E
perché il cosiddetto “orientamento sessuale” non rientra? Prosegue l’Autore: “L’individualizzabilità [discreteness]
necessaria a costituire una classe ben definita richiede come minimo che un
gruppo o un tratto sia chiaramente definito.
Ciò non è possibile per l’orientamento sessuale. Una rassegna degli studi scientifici [sul
tema] dimostra che non vi è consenso tra gli studiosi su come definire
l’orientamento sessuale, sicché le varie definizioni proposte dagli esperti
danno in sostanza vita a classi diverse.
Mentre la razza e il sesso sono ben definiti e capiti come tali,
nonostante la credenza popolare in contrario, l’orientamento sessuale resta una
classificazione contestata e indeterminata.”[18]
È
inoltre impossibile applicare qui il criterio dell’immutabilità dalla nascita,
per poter stabilire l’esistenza di una classe di appartenenza, criterio
sempre mantenuto dalla Corte Suprema.
Infatti, “checché ne pensi la credenza popolare, non c’è studio
confermato che dimostri esser l’orientamento sessuale determinato dalla
nascita. Gli studi giungono invece alla
conclusione che tale orientamento è influenzato da fattori complessi e
imprevedibili”. Ciò significa che
“l’orientamento sessuale è molto più fluido di quanto comunemente si
creda”. La Lettera faceva dunque
presente alla Corte che “gli studiosi non ne sanno abbastanza per stabilire
cos’è l’orientamento sessuale, che cosa lo produce e come e perché a volte
muti.”[19]
L’orientamento
sessuale, dobbiamo capirlo, non è dunque la stessa cosa del sesso, all’opposto
caratteristica ben marcata dalla natura, che determina l’appartenenza di ogni
individuo al genere maschile o femminile.
L’orientamento riguarderebbe piuttosto il modo nel quale
un individuo, maschio o femmina, si rapporta, “si orienta” ad un altro
individuo, secondo quelle categorie psico-fisiche e mentali che chiamiamo desiderio,
attrazione, impulso e i loro contrari.
E questo “modo” può anche deviare da ciò che prescrive la natura, come
stabilita appunto inequivocabilmente nei due sessi, poiché rientra nella
libertà dell’uomo compiere il male, in questo caso rappresentato dalla
deviazione dalle leggi della natura per ciò che riguarda i rapporti tra i due
sessi (“Iddio creò l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò; tali creò
l’uomo e la donna. E Dio li benedì e disse loro: Prolificate, moltiplicatevi e
riempite il mondo…” – Gen 1, 27-28).
Ma
da cosa deriva l’impossibilità di individuare l’effettiva esistenza di un
orientamento sessuale intrinsecamente omosessuale, che costituisca come una
natura a sè? Dal fatto che, nella prassi, le tre categorie stabilite dalla
ricerca sembrano raramente presenti in un’unica persona. Esse riguardano: “chi pratica un comportamento omosessuale (behavior);
chi ha fantasie erotiche di questo tipo (attraction); che si identifica
come gay o lesbica (identity).[20] Ora, la Chicago Sex Survey,
“considerata una delle più serie sul comportamento sessuale degli Americani,
stabilisce che, nella porzione di popolazione esibente almeno uno dei tre
tratti sopra delineati, solo il 15% delle donne e il 24 % degli uomini li
mostrava tutti e tre.”[21]
Circa
l’altra caratteristica invocata dalla propaganda degli attivisti gay, ovvero
che il tratto desiderato debba potersi considerare immutabile dalla nascita,
come se fosse per l’appunto innato, diversi autorevoli studiosi sono
giunti alla conclusione che “i fattori genetici hanno un’influenza piccola o
del tutto nulla sull’orientamento sessuale”.
Anzi, “ci sono sostanziali prove indirette dell’influenza di un modello
sociale nei confronti degli individui coinvolti”. Diversi studi, “hanno trovato forti
correlazioni tra l’orientamento sessuale e fattori esterni quali la situazione
familiare, l’ambiente, le condizioni sociali, elementi tutti la cui azione è
impossibile inquadrare nelle teorie sull’origine biologica dell’omosessualità.”[22]
Pertanto,
continua la Lettera, la convinzione diffusa popolarmente (soprattuto dai
media, sottolineo, quasi tutti massicciamente omofili) secondo la quale
il cosiddetto orientamento sessuale è “biologically determined”, è del tutto
“semplicistica”. In realtà, “non c’è nessuna solida prova a sostenerla, solo
indimostrate teorie.” Anzi, la American
Psychiatric Association ha ribadito in modo ufficiale, nel 2012, “che non
vi sono studi scientifici confermati che dimostrino una specifica eziologia
[causalità] biologica per l’omosessualità.”[23]
Molti e accurati studi hanno invece dimostrato
che l’orientamento sessuale muta.
Si nota nella società americana d’oggi la presenza di un “bisessualismo”
sempre più diffuso. Si è potuto dimostrare
che il 50% di appartenenti ad una “minoranza sessuale” come gli omosessuali
(che sarebbero il 3,5% della popolazione, ma l’1,8% di loro si considera
“bisessuale”), “una volta abbandonata la loro identità eterosessuale, abbiano
cambiato l’etichetta della loro identità più di una volta. Tale elasticità si nota soprattutto nelle
donne.”[24] Il dato in questione risulta da interviste
fatte a 30 donne che “avevano speso
circa metà della loro vita come eterosessuali, si erano sposate, avevano avuto
bambini, per poi darsi al lesbismo una volta raggiunta la mezz’età. Alcune di loro spiegarono il loro lesbismo come risultato di un processo
di scoperta di se stesse. Ma un altro
gruppo considerava la mutazione più che altro come una semplice scelta tra l’esser
lesbica o bisessuale, casta o eterosessuale.”[25] Osservo:
tutto lo stesso, a quanto pare, dal punto di vista della libera
scelta! Il prof. McHugh non poteva
dirlo, in una epistola di quel tipo, ma la c.d. “bisessualità” diffusa tra
tutte queste donne (ed anche la pretesa, tardiva “scoperta” dei rapporti
saffici), da dove provenivano se non dalla generale corruzione dei costumi
ovvero dall’influenza del modo sempre più depravato di vivere che caratterizza
le nostre società, afflitte da un morboso e perverso pansessualismo, nelle quali pertanto si è smarrito il senso
del peccato e si mette tutto sullo stesso piano, come se tra il vizio e la
virtù non vi fosse differenza alcuna? Ed
anzi, la corruttela viene esaltata e la virtù derisa, in particolare nell’immagine
della donna, che si vuole obbligatoriamente “emancipata”, “liberata”,
“trasgressiva”, “aggressiva”…
Ma
ciò che conta, per chi vuol capire, è che dall’esposizione esatta dei risultati
della vera scienza risulta dimostrata la totale infondatezza del concetto
base delle pretese degli attivisti omosessuali, quello dell’esistenza di un
orientamento sessuale omosessuale dalla nascita ed immutabile (“sono nato/a
così”). La lucida analisi
dell’accademico americano lo scardina completamente, dimostrando che esso è del
tutto insostenibile alla luce degli studi scientifici degni di questo
nome. Il prof. McHugh e la metodologia prevalente mettono in rilievo soprattutto i
fattori esterni come causa del
fenomeno omosessuale; il metodo terapeutico del dr. Aardweg li completa con
l’individuazione dei fattori interni che contribuiscono a provocarlo: le
nevrosi cioè il disturbo mentale che prende piede soprattutto nel periodo
dell’adolescenza, allorché il soggetto che ne è vittima, per una serie di
motivi dovuti solo in parte a rapporti squilibrati con uno dei due genitori, si
forma complessi d’inferiorità, di esclusione, di autocommiserazione, che
finiscono con il coinvolgere la percezione dellla sua identità sessuale.[26]
8.2 La menzogna del cambiamento di sesso
(“transition”) la cui chirurgia risolverebbe i problemi mentali dei transgender
La seconda grande menzogna che il disegno di
legge Zan viene di fatto ad accreditare è quella dell’effettiva esistenza
biologica di quello che chiamano “transgenderismo”, esistenza che meriterebbe
di essere protetta dalla “transfobia” mediante leggi come quella che si sta
appunto discutendo in questi giorni al Parlamento italiano. In verità, gli è stato giustamente obiettato
che gli atteggiamenti incivili nei confronti dei transgender costituiscono
fattispecie di reato anche in base alle leggi esistenti.
Che
l’omosessualità non abbia un’origine nella natura umana in quanto tale ma sia
il frutto di un sentire malato o vizioso (vi sono infatti anche libertini che
praticano l’omosessualità per vizio, esemplificati dalla famosa figura del proustiano Barone
di Charlus, trasfigurazione letteraria di un personaggio realmente esistito),
ciò sembra evidente anche da quella forma di disturbo deviato nota come transgenderismo. Anche qui ci illumina un essenziale
contributo del prof. McHugh, in un importante articolo divulgativo di cinque
anni fa. Oltre che professore
universitario per quarant’anni, egli è stato per ventisei Primario del reparto
psichiatrico dell’Ospedale della Johns Hopkins.
Ciò gli ha permesso, scrive, “di osservare [scientificamente] persone
che affermavano di essere dei transessuali”.[27]
All’inizio
erano solo uomini, sia omosessuali che eterosessuali, alcuni dei quali volevano
esser operati perché “si eccitavano eroticamente all’immagine di se stessi come
donne.” Poi il fenomeno ha cominciato a
coinvolgere le donne. Negli ultimi
quindici anni “è cresciuto in modo esponenziale” tanto che anche adolescenti
maschi e femmine “hanno cominciato a presentarsi come appartenenti al sesso
opposto” rispetto a quello nel quale sono nati.
Per questi adolescenti, precisa l’Autore, la motivazione non sarebbe
erotica. Sono al contrario “spinti da una varietà di conflitti e preoccupazioni
giovanili di natura psicosociale.”[28]
Ha
dunque preso piede l’idea bislacca secondo la quale il sesso sarebbe appunto
“una scelta” dipendente dall’individuo, “una disposizione o un modo di sentire
più che un fatto naturale [a fact of nature]. In tal modo, lo si concepisce come una realtà
fluttuante, che può cambiare ogni momento per qualsivoglia ragione.”[29] Ora, ribadisce con estrema chiarezza il prof.
McHugh, “l’idea che sia possibile cambiare sesso è del tutto falsa. Gli uomini transessuali non diventano donne
nè le donne transessuali diventano uomini.
Diventano tutti o uomini femminizzati [feminized] o donne
mascolinizzate [masculinized]. La
loro è una contraffazione poiché in realtà essi non fanno altro che imitare il
sesso nel quale “si identificano.””[30] Questo grave fenomeno, prosegue egli, ha sempre
trovato ampia comprensione in Isvezia.
Ma proprio da accurate analisi effettuate in Isvezia, risulta che dieci
o quindici anni dopo la “ristrutturazione chirurgica” del loro corpo, molti
transessuali si suicidano. Infatti,
“la loro percentuale di suicidi è superiore di venti volte a quella dei loro
coetanei [non transessuali].”[31] L’unico modo corretto, conclude il Nostro, di
affrontare questa deviazione è la psicoterapia, anche “di gruppo”, non
la chirurgia. Bisogna convincere i
transessuali del grave errore nel quale sono caduti, quello di credere che il
sesso non sia un fatto biologico ma solo un modo di sentire individuale, un
“orientamento” scelto dal soggetto. “Il transessualismo – o gender dysphoria
in termini tecnici – è un fatto psicologico non biologico.” Nella
terminologia di psicoterapeuti (aggiungo) come il dr. Aardweg: un disturbo
della psiche, una nevrosi, che va trattata con la psichiatria e la psicoanalisi,
possibilmente integrate dalla conversione a Cristo. “La cura dovrebbe proporsi di correggere la
natura falsa e indimostrabile della convinzione dei “transessuali” e di
risolvere i conflitti psicologici che la provocano. Con gli adolescenti, il modo migliore sarebbe
quello di una cura nell’ambito della famiglia [family therapy].”[32]
Sull’effettiva
possibilità di rovesciare la disastrosa tendenza dominante, il prof. McHugh di
dimostrava tuttavia piuttosto pessimista.
E oggi, cinque anni dopo, nonostante una assai più ampia presa di
coscienza del problema grazie anche all’attività di gruppi cattolici
conservatori e fedeli alla Tradizione della Chiesa fortemente impegnati sui social
media e non solo, non è che la situazione sia molto migliorata. Il pessimismo dell’illustre accademico si
basava su due motivi essenziali:
1.
L’idea a fondamento del “transessualismo” è diventata un vero e proprio feticcio
che gode ormai di un culto di massa, nutrito da tutti i media, e ha già il suo business
milionario nell’indifferenza più completa per i gran danni che provoca alle
famiglie, agli adolescenti, ai bambini.
Questo feticcio dovrebbe esser combattuto (innanzitutto a livello
culturale) per quello che è: “un’opinione priva di qualsiasi fondamento”.
2.
L’altro motivo di grave pessimismo è rappresentato dall’azione dei Governi dei
Paesi Occidentali, in particolare, quando McHugh scriveva, di quello
americano. Negli Stati Uniti, affermava,
la situazione è grave. “Sia i singoli
Stati che il Governo Federale stanno cercando [nell’AD 2015] di impedire ogni
terapia che possa rappresentare un tentativo di controbattere le opinioni e le
scelte [sbagliate] degli adolescenti transessuali.” Come esempio, il prof. McHugh citava una
dichiarazione di una collaboratrice dell’allora presidente Obama, di nome
Valerie Jarrett: “Nell’àmbito del suo
impegno a proteggere [sic] la gioventù americana, quest’Amministrazione
sostiene gli sforzi miranti a bandire l’impiego di terapie di conversione per i
minori.”[33] Le conversion therapies sono appunto
quelle della psicologia, della psichiatria, della psicoanalisi (intesa per
quanto possibile come scienza non come “freudismo” più o meno d’accatto),
impiegate con successo da psicoterapeuti quali il citato dr. Aardweg e ben
illustrate nel suo lavoro, da me sopra riportato. Esse mirano a far mutare lo stile di vita
(mirano alla conversion) riconducendo il provvisoriamente anormale
alla normalità.
L’intervento
del prof. McHugh metteva il dito sulla piaga anche per ciò che riguardava la
complicità dei Governi occidentali nel diffondersi della deriva omo e
transessualista. Questa deriva si è
ulteriormente accresciuta negli Stati Uniti, raggiungendo livelli appunto
preoccupanti, durante la duplice presidenza di Barack Obama. Quest’ultimo ha favorito l’introduzione dello
stato “matrimoniale” per i gay, ha promosso in vari modi le cause abortista e
transessualista. Già evidente con la
presidenza Clinton, con lui si è rafforzata nel Partito Democratico una
tendenza eversiva della morale naturale, oltre che cristiana, e dei costumi; tendenza
che ha assunto oggi aspetti addirittura allucinanti, come fa fede l’ideologia
del candidato di quel partito alle prossime elezioni presidenziali, Joe Biden,
e della vicepresidente da lui indicata, la citata Kamala Harris.
Durante
la presidenza di Donald Trump le cose sono sensibilmente migliorate da questo
punto di vista, anche se restano zone d’ombra.
Estremamente positiva la chiara scelta pro-life di Trump,
concretizzatasi in tutta una serie di iniziative contro l’aborto, il cui
“diritto” egli semba intenzionato ad abrogare, se gli riesce. Egli ha poi
bandito i transgender dalle forze armate americane, il 26 luglio 2017. Ha interrotto subito ogni contatto con la
galassia dei movimenti per i “diritti” dei gay, abituali frequentatori della
Casa Bianca con il precedente inquilino e già con i Clinton, e non ha dato
séguito alla politica del predecessore, di aprire ai transgender le toilettes
femminili e maschili nelle palestre, nelle scuole (un aspetto che può apparire
secondario ma che nei fatti (come ho già detto e ripeto) crea l’imbarazzo e la
vergogna tra le detenute, le scolare, le studentesse, le atlete costrette a non
richieste, persino luride promiscuità, contro le quali hanno più volte
protestato, anche tramite le loro famiglie. La politica pro-life implica anche
una efficace difesa della libertà religiosa, cosa che Trump sembra tener in
gran conto, al contrario del suo predecessore.
Tuttavia,
Trump ha fatto alcune dichiarazioni di carattere neutrale nei confronti dei
“diritti” cosiddetti acquisiti del movimento lgtb, i quali affermava di
rispettare. Altro a loro favore, in verità non ha finora fatto; l’ostilità del
“movimento” nei suoi confronti rimane intatta, la galassia degli attivisti lgbt, a quanto se
ne sa, è attivamente impegnata a non farlo rieleggere. Non ha poi reagito come ci si sarebbe
aspettato (non ha reagito affatto) contro la scandalosa sentenza della Suprema
Corte americana che il 16 giugno 2020, nel caso Bostock v. Clayton County,
ha arbitrariamente ridefinito la nozione di “sesso”, stabilita in senso
ovviamente tradizionale, secondo natura, nella Legge sui Diritti Civili del
1964 (Civil Rights Act), scrivendo che tale nozione non indica solo
“maschio” e “femmina” in senso biologico ma anche “orientamento sessuale” e
“identità di genere”. Arbitraria, tale
sentenza, perché la competenza di una simile, grave estensione di significato
(che oltretutto viola la morale sia naturale sia cristiana sia di altre
religioni) non può spettare ai nove giudici della Corte Suprema, organo
oligarchico, eletto in base a criteri politici, ma caso mai al Congresso,
eletto da tutto il popolo americano.
Anche negli Stati Uniti si sta radicando la tendenza, ben presente in
Europa e in Italia, dei giudici che ormai sistematicamente si sostituiscono ai
legislatori, sia nella magistratura ordinaria che in quella costituzionale,
grazie ad interpretazioni estensive salutate come audaci e
rivoluzionarie dai media amici, quando invece appaiono spesso frutto di
pregiudizio ideologico e superficiale valutazione delle questioni. Il
compito delle Corti costituzionali o supreme è, da statuto, quello di valutare
la conformità o meno della legge o di certi atti giuridici dei cittadini ai
princìpi sanciti nella Costituzione. Qualora la Corte, in relazione a un caso
in esame, rilevasse una lacuna nella normativa esistente dovrebbe rimettere il
caso al legislatore ordinario, giammai provvedere essa stessa a colmare la
lacuna, che, tra l’altro, a volte è solo presunta.[34]
Se
Trump è rimasto inerte di fronte al dettato della Corte Suprema, in questi
giorni ha preso un’iniziativa che ha sconcertato i suoi sostenitori fra i conservatori: ha diffuso un video per la propaganda
elettorale, nel quale lo si vede con un ex-funzionario omosessuale dichiarato,
anche se non estremista, mentre afferma: “mio grande onore esser chiamato [dal
suddetto ex-funzionario, cooptato nello staff elettorale di Trump] il
presidente maggiormente pro-gay della storia americana”.[35] Lo sconcerto nasce anche dal fatto che, in
verità, non si saprebbero indicare le iniziative pro-gay della sua presidenza,
praticamente inesistenti. L’impressione
è che, dato al momento in netta minoranza nei sondaggi, attaccato e accerchiato
da ogni parte con una campagna d’odio impressionante, Trump abbia commesso l’errore, speriamo non fatale, di far delle
concessioni al fronte nemico sul piano dei valori non negoziabili, per di più
con una mossa forse puramente di facciata, che tuttavia potrebbe costargli
assai cara, se gli facesse perdere preziosi voti tra i conservatori cattolici e
protestanti, senza per questo procurargliene tra i sostenitori dei suoi nemici.
A
prescindere dalla situazione americana, la cui gravità riflette più di ogni
altra la profonda crisi di civiltà dell’Occidente, la complicità scandalosa di
partiti politici e organi dello Stato con le follie dell’ideologia gay,
lesbian, bisessual, transgender e chi più ne ha più ne metta, esiste in Europa
da decenni (all’avanguardia troviamo forse il Regno Unito) ed ora vuol aprire
un ulteriore capitolo in Italia, con il presente disegno di legge Zan. Ma
questa follia va combattuta innanzitutto svelando l’inconsistenza
della scienza che pretende di giustificarla, i cui evidenti errori sono di
recente diventati di dominio pubblico, anche se non ancora di massa, a quanto
sembra.
Ho
citato sopra le limpide prese di posizione di un’autorità scientifica
indiscutibile come il prof. Paul McHugh. Si potrebbe credere che qualche
studioso di opposte tendenze l’abbia confutato.
In realtà, le critiche che ha avuto sono del tipo “politicamente
corretto” più che scientifico. Nel 2016
McHugh ha reiterato le sue analisi, sistemandole in un ampio studio che
sintetizzava ed approfondiva le prospettive elaborate da ben 200 studi
accademici apparsi negli ultimi anni, tutti rigorosamente vagliati con il
sistema della “revisione paritaria”, sull’orientamento sessuale e l’identità di
genere, esaminati dal punto di vista della biologia, della psicologia, delle
scienze sociali.[36] Lo studio, leggiamo su Wikipedia, è stato
massicciamente contestato da professori e studenti della Johns Hopkins, ma
siamo sempre lì: non si accetta la critica radicale e argomentata di McHugh al
trangenderismo e alla chirurgia dei cambiamenti di sesso, da lui sempre
giustamente combattuta, definita da McHugh del tutto illusoria, e si farnetica
di una sua presunta mancanza di scientificità.
Ma i
fatti più recenti stanno dando
ragione proprio a critici come il prof. McHugh: esattamente in questo mese si
sono dovuti registrare inoppugnabili dati scientifici sul fallimento
delle “terapie” transgenderiste. Vediamo
come.
Chi
soffre effettivamente di gender dysphoria si trova in una difficile
situazione psicologica, mentale, spirituale generale. Si trova come diviso tra il sesso che la
natura gli ha dato e quello cui sente, crede erroneamente di appartenere. Il conflitto per i più giovani, manipolati
oggi in vario modo dall’ambiente moralmente malsano in cui devono vivere,
inteso in senso lato come scuola, cattive amicizie, media, può esser drammatico.
Presenta quattro tipi di soluzione, sulla carta. Lavorare solo sulla mente del soggetto con le
opportune terapie psichiatriche miranti a riconciliare l’afflitto con il suo sesso
naturale (psicoterapia mirante alla guarigione, tipica della vera medicina). Convincere il soggetto ad una transizione ad
alius genus solo “sociale”, come, nel caso di una donna, vestirsi da uomo,
mettersi un nome da uomo, etc. Far assumere al soggetto massicce dosi di ormoni
e farmaci che bloccano lo sviluppo della pubertà per favorire lo sviluppo di
organi del sesso immaginato e far diminuire la consistenza di quelli del sesso
naturale. Convincerlo a sottoporsi alla
c.d. gender-affirmative surgery, “la chirurgia che procura il genere” o
“chirurgia di genere”: si intende, quello
desiderato (o fatto desiderare) dal paziente in grave crisi di identità. Tale chirurgia fa apparire il mondo di
Frankenstein roba da boy-scouts. Infatti,
non ripara ma mutila e fabbrica organi posticci : rimuove seni, taglia testicoli, a volte persino costruisce peni
dai muscoli delle braccia, etc – un orrore senza fine.[37]
I
metodi “gender-affirmative” ormonali e chirurgici sono adoperati in modo
massiccio e da anni. Ma quali risultati
hanno dato? Hanno effettivamente
creato una nuova e soddisfacente identità sessuale, attuato la t r a n s i z i
o n e (transition) al nuovo sesso e, soprattutto, hanno risolto i
difficili problemi mentali dei transgender?
Sembra proprio di no, come è vero (vedi supra), che, anche dopo
la “transizione”, la gran parte dei transgender resta infelice come prima ed
anzi lo diviene ancor più, visto l’alto tasso di suicidi tra di loro, non
giustificabile con i comportamenti offensivi o teppistici che si trovano
occasionalmente a subire.
Per
tal motivo, destò vasta e favorevole eco sui media internazionali la notizia
diffusa l’ottobre scorso, secondo la quale un ultimo accuratissimo studio
scientifico aveva dimostrato che la chirurgia “gender-affirmative” sembrava
esser la chiave giusta per risolvere in lungo periodo i problemi mentali dei
transgender, assai meglio delle somministrazioni di ormoni, rivelatisi ímpari
al còmpito. I (pochi) critici erano
zittiti, bisognava continuare sulla via del progresso, rappresentato dal
cambiamento chirurgico di sesso.
Lo
studio si intitolava: Diminuzione dei trattamenti di cura della
salute mentale nei Transgender in séguito alla chirurgia di genere: studio
sulla popolazione totale. Era
pubblicato da due ricercatori delle Università Carolina di Stoccolma e di Yale,
sulla rivista ufficiale degli psichiatri americani, il Journal of Psychiatry, nell’ottobre 2019.[38] Lo studio considerava il trattamento per
problemi mentali ricevuto da 2.679 transgender (soggetti cui era stata appunto
diagnosticata una “incongruenza di genere” tra il 2005 e il 2015) in rapporto a
quello ricevuto dall’intera popolazione svedese, di 9.747,324 persone al 31
dicembre 2014. Dalle comparazioni
risultava che i transgender apparivano sei volte più inclini ai problemi
causati da crisi depressive e d’ansia; oggetto di cure contro la depressione e
l’ansietà in misura tre volte maggiore; ricoverati dopo un tentato suicidio in
misura di più di sei volte superiore.
Risultava, quindi, che il rischio di essere affetti da problemi mentali
tra coloro che soffrivano di “gender
incongruence” era nettamente più
alto che tra le persone normali. Certo, l’uomo della strada, nella sua
ignoranza a volte, si sa, poco rispettosa della scienza, si chiede: ma per
arrivare a questa ovvia conclusione, c’era bisogno di fare tutte queste ricerche a
livello accademico?
Ma veniamo al punto essenziale. I due ricercatori paragonavano il tasso di
depressione e ansietà risultante nel 2015 con quello presente all’inizio del trattamento
ormonale o chirurgico, arrivando alla conclusione che non il trattamento a base
di ormoni bensì quello
chirurgico mostrava con il tempo di migliorare la salute mentale dei pazienti.[39]
Ma proprio questa conclusione, sulla quale erano
balzati con entusiasmo i media, veniva severamente contestata, come si è detto,
da diversi specialisti, con una serie di lettere al Journal, cosa che obbligava la direzione scientifica a far fare un riesame di tutte le statistiche
impiegate. Pertanto, nel numero di
agosto di quest’anno, il Journal
ha ripubblicato lo studio con una breve Correction finale, nella quale, dopo aver corretto un errore materiale nella stampa di
un dato in percentuale, si affermava, cosa della massima importanza, a mio
avviso, nel clima attuale, quanto segue:
“[…] A richiesta, gli Autori hanno nuovamente
analizzato i dati per confrontare i risultati tra soggetti soffrenti un’ incongruenza
di genere sottopostisi a chirurgia di genere [gender-affirmative
surgery] e soggetti afflitti
dalla stessa patologia, che non si erano sottoposti a questa chirurgia
[…]. I risultati del confronto non
mostravano alcun beneficio ascrivibile alla chirurgia in relazione alle visite
e prescrizioni mediche per la cura dei disturbi da depressione o ansietà o ai
ricoveri in séguito a tentativi di suicidio. Perciò [dato il tipo di metodo {observational} seguíto dalla ricerca] la
conclusione della stessa,
secondo la quale l’associazione longitudinale [ossia studiata nel suo ripetersi
nel tempo, per un certo periodo] tra la chirurgia gender-affirming
e un uso minore di cure per la salute mentale,
giustifica la decisione di mettere
questa chirurgia a disposizione dei transgender che lo vogliano, è troppo forte.”[40]
Inoltre, il citato editoriale del Journal metteva in discussione il criterio di base stesso
della ricerca, cioè il paragone fra transgender sottopostisi alla chirurgia e
transgender limitatisi alle cure ormonali. L’errore di metodo sarebbe consistito
proprio nello “affastellare soggetti desiderosi di essere operati con quelli
che non lo erano affatto. Ma l’analisi successiva ha rivelato che non c’era una
significativa differenza statistica nella prevalenza o meno del trattamento per
i disturbi mentali fra i due gruppi.
Anzi, le cure per disturbi da ansietà erano maggiori per le persone
afflitte da incongruenza di genere che avevano subíto l’intervento chirurgico
rispetto a persone nella stessa situazione che non l’avevano subíto.”[41]
Insomma, come sempre sostenuto da autorevoli
studiosi indipendenti quali il prof. McHugh, la chirurgia che, a quanto vuol
far credere, addirittura “ti riassegna
il sesso” (gender
reassignment surgery), non
produce alcun miglioramento nella “qualità della vita” degli sfortunati
soggetti “sessualmente confusi” che la sperimentano. Bisogna anzi dire che la
peggiora notevolmente, anche se nella fase iniziale ad alcuni sembra portare qualche
sollievo.
In dichiarazioni
riportate dal citato blog dell’Università Carolina di Stoccolma, il dr. Richard
Bränström,
co-autore dello studio e ricercatore anziano del Dipartimento di Neuroscienze
della Carolina, dichiarò: “dato il metodo observational
adottato dalla nostra ricerca, avremmo dovuto esser
più cauti nelle nostre conclusioni.”[42] Occorrevano ulteriori studi, aggiunse. Ma
intanto la loro ricerca è stata praticamente demolita dalla critica scientifica.
Nella loro Lettera agli
Editori in risposta ai rilievi manifestati
nei loro confronti, i due autori hanno dovuto ammettere che l’impostazione (design) da loro conferita alla ricerca “non riusciva a
stabilire un nesso causale tra le tecniche gender-affirming
e il trattamento della salute mentale [dei
transgender]” e quindi, ne concludo, non riusciva affatto a dimostrare che la chirurgia di genere sia un fatto positivo per i problemi mentali dei transgender.[43]
9. Il dolore disperato delle vittime
della chirurgia che “riassegna il sesso”, rovinate per sempre.
Ma i mali dai quali si trovano afflitti gli
infelici transgender non sono solo mentali, pur gravi. Quelli tra loro che si decidono a questa
diabolica gender-affirming
surgery soffrono orribilmente
sia nel corpo che nell’animo per la condizione di irreversibile mutilazione e
deformazione nella quale si viene a trovare alla fine il loro corpo. Ormai le
testimonianze si vanno accumulando, sul social, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Sta tracimando tutto l’orrore di queste
pratiche, ignorato finora dai grandi media.
Grandi compagnie commerciali come l’americana Starbucks fanno pubblicità presso ragazzi e ragazze per incoraggiarli
a “esplorare la loro identità di genere”, a pensare alla “transizione di genere” e persino
finanziano la causa del “transessualismo”, come se si trattasse di una
missione! Durante il Medio Evo i ricchi
mercanti finanziavano la costruzione di cimiteri, battisteri, cattedrali, come
quelli che vediamo ancor oggi nel magnifico complesso monumentale di Pisa, il Campo dei miracoli, famoso per la sua “torre pendente”. Oggi, i ricchi mercanti finanziano in
Occidente la peggiore decadenza e
corruttela. Forse questi capi d’azienda che pensano unicamente ad ampliare con
qualsiasi iniziativa il loro mercato, farebbero bene a meditare sulle crudeli e
tragiche storie delle vittime del “transgenderismo”.
“--- Vivevo in stato di collasso. Sì, è stato un
errore. Non avrebbe mai dovuto accadere. Ma cosa ci puoi fare? Come poter
passare per un’altra dolorosissima transizione [al contrario]? Che fare? Non ho
più capelli. Ho la barba. Tutto il mio corpo è stato mutilato. Come tornare
indietro? --- Debby aveva al tempo 17 anni. Farebbe qualsiasi cosa per
rivolgere il tempo all’indietro. “Siamo
in migliaia”, ha dichiarato un’altra giovane donna alla BBC, in migliaia a
volerne disperatamente uscire. Uscire
dalla vita che compagnie come Starbucks stanno propagandando a ragazzi e
ragazze come un modo per farsi finalmente notare e apprezzare.”[44]
C’è poi il dolore atroce dei genitori, nel vedersi
figli e figlie ridotti in quel modo. E
un’ira collettiva che sta montando.
“Una volta che abbiamo tagliato quel bel corpo, allorché
la voce è rovinata per sempre e la barba ce l’ha in eterno, i seni sono
scomparsi, che succede se, tanto per cominciare, si scopre che il corpo non era
affatto sbagliato? Che cosa dirai alle
figlie che capiscono, troppo tardi, che esse hanno eliminato la capacità di
aver figli o di nutrirli? Quando capiscono che le loro ferite avevano altre
cause, altre origini, e richiedevano ben altri trattamenti? Vi prego di
ascoltare i genitori e le tante storie di giovani che hanno cambiato idea dopo la transizione medica. Ma questa
non è assistenza medica, questi sono esperimenti. Questa non è medicina che vuol salvarti la
vita, queste sono azioni criminali.
Bisogna fermarli.”[45]
Così
la madre di una vittima della gender transition. Ma chi fermerà il “behemoth ideologico”, come
lo chiama Padre Shenan Boquet, il mostro schiacciatutto che sembra esser
diventata quest’ideologia del “transgenderismo”? Un’ideologia che non potrebbe esser più
falsa, che è la personificazione stessa della menzogna. Ciò risulta già
dalla presentazione che ne fanno i media.
“Regolarmente parlano di “terapia ormonale” e di “chirurgia di genere”
come se si trattasse di cose gentili, benigne, misure terapeutiche senza
problemi, sempre apportatrici di pace e salute.” Ma per coloro, un numero in rapido aumento,
che vorrebbero ardentemente ritornare alla loro perduta normalità, ad essere
come li aveva fatti la natura, i c.d. “detransitioners”, “l’esser
passati per le mani degli “esperti” del gender, è stato come trovarsi a
recitare sulla propria pelle un grand-guignol tra i più cruenti.”[46]
Bisogna
una buona volta mettere in chiaro, senza ovviamente generalizzare, le gravi
responsabilità della classe medica in questo terribile dramma collettivo.
“Adolescenti
che si sono trovati in gravi crisi di emozioni e sentimenti, durante le quali
sono caduti in preda ad ideologhi ultrazelanti, si risvegliano diversi anni
dopo per ritrovarsi un corpo che è stato mutilato in modo irriconoscibile ed
irreversibile dai bisturi di chirurghi senza scrupoli, con organi della
riproduzione perfettamente sani ed altre parti del loro corpo estirpati e
sostituiti con dubbie imitazioni di quelli del sesso opposto. Inoltre, i loro corpi sono stati alterati in
modo irreversibile da enormi quantità di ormoni artificiali che hanno prodotto
effetti quali le voci femminili mutate per sempre in rauche voci maschili; seni cresciuti sulle
strutture ossee e muscolari di corpi maschili; e in aggiunta molti effetti
collaterali – sterilità inclusa – nonché le assuefazioni fisiologiche associate
a questo tipo di medicine.”[47]
Non si manipola impunemente la natura. “Una persona può decidere di mutilarsi i
genitali maschili o femminili ma non può cambiare il suo sesso. Cambiare il
proprio sesso è fondamentalmente impossibile.
Invece, ci troviamo di fronte ad atti che mutilano corpi sani; ad atti,
quindi, di violenza che rappresentano un’aggressione alla dignità innata della
persona. Ciò è ingiustificabile.”[48]
Diventa
sempre più evidente, continua il P. Boquet, che molte persone che si sono
sottoposte a questi cambiamenti di sesso non vi hanno trovato alcun sollievo ma
al contrario “ulteriori e peggiori sofferenze”.
Ma come sono cadute in questo abisso?
Da molte delle loro storie emerge uno schema di questo tipo: “in molti casi, il soggetto in questione
aveva esperienze di abusi sessuali o fisici, bulimia o anoressia, depressione,
autismo, e altri problemi mentali. Ebbene, nel mezzo dei suoi traumi e
fragilità varie, gli venne imbonita quest’idea, che il mutamento di sesso [transitioning]
avrebbe magicamente risolto i suoi problemi. Ma nulla fu risolto. Queste
persone sono delle vittime – vittime degli “esperti” che li hanno condotti
catastroficamente fuori strada. Immaginiamo per un momento come si devono
sentire giovani di ambo i sessi di 19 o 20 anni che stanno capendo solo ora che
i loro dottori e terapeuti li hanno convinti a mutilare in modo permanente i
loro corpi, cosicché essi devono ora vivere il resto della loro vita con le
conseguenze di quella decisione.”[49]
Si
può capire allora perché la percentuale di suicidi fra i transgender è tanto
più alta rispetto alle persone normali. La molla che li spinge al passo fatale
è evidentemente quella della disperazione, tipica di chi si trova in una
situazione di grande infelicità, e fors’anche di vergogna, che gli appare ormai
senza via d’uscita. Nello stesso tempo,
però, sta anche montando la rabbia, peraltro più che comprensibile, dobbiamo
dire.
“Una
donna, Keira, racconta di come le fossero stati prescritte medicine che
bloccano la pubertà quando aveva 16 anni, dopo solo tre appuntamenti col
dottore. Successivamente, cominciò a sorbirsi il testosterone e alla fine si
fece fare una mastectomia – la rimozione di entrambi i seni. Tuttavia, a 20 anni all’improvviso mutò di
paradigma, rendendosi conto che l’aver cambiato l’aspetto del suo corpo non era
la soluzione dei suoi problemi. Inoltre,
come molte donne che entrano nei vent’anni, all’improvviso si sorprese a
pensare alla maternità, una cosa cui non aveva mai posto mente quando aveva 16
anni. Nonostante abbia smesso il
testosterone, la sua voce è ancora roca, deve ancora radersi e spesso è
scambiata per un uomo. – Sono così arrabbiata e non me ne libero, di questa
rabbia. Mi sento addosso un malessere, mi sento come se mi avessero mentito. Non c’era alcuna necessità di farmi quelle
operazioni, che non mi hanno fatto sentir meglio. È maturando, che mi sono sentita meglio.”[50]
Ma
per fermare la marcia del transgenderismo bisogna combattere non solo contro
quei medici che lo sostengono a spada tratta, invocando addirittura
l’intervento dello Stato (leggi, polizia, magistrati) contro quei genitori che
cerchino di difendere i loro figli minorenni dalle lusinghe di chi li vorrebbe
far “cambiare di sesso”. Ci si deve
anche difendere dall’azione perversa degli organi statali, quando c’è; quando,
cioè, tolgono o cercano di togliere i figli ai genitori per consegnarli ai
macellai del sex-reassignment, come è successo in Canada, nello Stato
del Texas e in altre nazioni.[51] Ci sono, tuttavia, segni, ancorché deboli,
dell’inizio di un cambiamento.
“Nel
Regno Unito negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento del 4400% nel
numero di figli di famiglia sottopostisi a “gender transition”. La prima ondata di coloro che vogliono fare
il cammino a ritroso [detransitioners], della quale stiamo prendendo in
questo periodo conoscenza, è quasi sicuramente solo la punta dell’iceberg. Negli anni a venire saranno molti ma molti di
più. Può certamente succedere che l’effetto delle loro storie, che spezzano il
cuore, rallenterà o persino farà invertire la marcia di questa locomotiva
sociale fuori controllo. Ma nel
frattempo, quante vite dovranno esser distrutte, quante famiglie rovinate?
Fortunatamente,
sembra che una reazione stia cominciando.
Nel Regno Unito incoraggia il fatto che sia stata ordinata un’indagine
nei confronti della sola clinica britannica dove si pratica la transizione di
genere, in séguito ad un denuncia di abusi che vi sarebbero avvenuti. In alcuni ordinamenti si sta delineando una
spinta a legiferare per la protezione dei minori, sanzionando i dottori che
applicassero nei loro confronti le procedure che provocano cambiamenti
irreversibili al loro sesso.
È
tempo di fermare questa follia. Abbiamo
bisogno di un movimento di genitori, medici, politici che vogliano alzarsi in
piedi, dichiarare la verità, darci le leggi basate sul senso comune, delle
quali abbiamo bisogno per proteggere i nostri figli e le loro famiglie dagli
estremisti del transgender”.[52]
Giustissime
parole. Estremisti, che, a quanto
è dato vedere, sembrano la reincarnazione del dr. Money, come se il tragico,
straziante Caso Reimer (vedi supra) fosse destinato a
ripetersi all’infinito.
E
p i l o g o
La
strada per risolvere i problemi degli sfortunati individui che, a un certo
punto della loro vita, si sentono “sessualmente confusi”, una confusione che
coinvolge evidentemente l’intera galassia lgbt, non è certamente quella della
falsa misericordia o che conduce alla promozione sociale dell’omosessualità,
nelle sue varie componenti e sfumature, transgenderismo incluso, come si
propone di fare il ddl Zan, con il voler imporre al Paese una giornata contro
la c.d. omofobia, lesbofobia etc., intessuta di manifestazioni che promuovano
il rispetto per il variegato fenomeno omosessuale, il suo stile di vita, le sue
pratiche!
Questa
giornata dovrebbe essere il 17 maggio di ogni anno, un numero che in Italia è
sempre stato simbolo di cattiva sorte e sventura.
Si potrebbe certamente dedicare una giornata nazionale alla questione
omosessuale ma di certo non in chiave celebrativa. A mio modesto avviso,
una giornata di espiazione, innanzitutto per commemorare le tante
vittime del transessualismo, i tanti rovinati da medici senza scrupoli, i tanti
suicidatisi, le famiglie distrutte…Insomma, una giornata di espiazione
nazionale per i peccati carnali del popolo, con particolare riguardo a
quelli contro natura, all’omosessualità in tutte le sue odierne, variegate
forme, maschili e femminili: le quattro note, al momento, facce tutte
del medesimo, grave disordine. Una giornata di preghiera e pentimento, del
desiderio di purificarsi e cambiar vita; in pratica, all’insegna non delle
condanne e degli anatemi bensì di quel sincero ritorno a Cristo Nostro
Signore, che è l’unica salvezza possibile contro la forza e le arti del
Demonio, per tutti noi e ancor più per le anime degli infelici caduti nelle torbide
spire delle deviazioni sessuali.
Infatti, nonostante la potenza di Satana, non c’è peccato, per quanto
grave, che non possa esser perdonato a chi si pente sinceramente e vuol cambiar
vita. Come ci ha insegnato il nostro
Divino Maestro, dobbiamo aver fiducia in Lui, andare a Lui e prendere su di noi
il suo g i o g o , che la fede
nell’aiuto imprescindibile della sua Grazia ci permetterà di portare, facendoci
trovare quella pace dell’anima della quale andiamo invano in cerca, finché
restiamo nel peccato:
“Venite
a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da
me, perché sono dolce e umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre;
perché il mio giogo è soave e il mio carico leggero.” (Mat 11, 28-30).
Paolo Pasqualucci
AD 2020, domenica 23 di agosto
[1] Ugo Spirito-Augusto Del
Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, Milano, 19725,
p. 183 e p. 282. Il saggio di Ugo
Spirito, pp. 15-58, era apparso sulla rivista Futuribili, nel gennaio
del 1969: Ideali che tramontano e ideali che sorgono. Il saggio di Del Noce, intitotalo appunto Tramonto
o eclissi dei valori tradizionali?, scritto per l’occasione, occupava le
pagine 61-294, considerando anche le note.
Seguivano una replica di Spirito, intitolata: Tre equivoci, pp. 297-301, ed una
controreplica di Del Noce: …O tre conferme?
Ugo Spirito, pensatore di tutto rilievo, oggi dimenticato, fu il
discusso teorico di un corporativismo quasi comunista negli Anni Trenta del XX
Secolo. Si distinse sempre per
impostazioni originali, spaziando in vari campi, dall’estetica alla filosofia
del diritto, dai problemi gnoseologici alla “storia delle idee” (ricordo un suo
classico saggio intitolato Machiavelli e Guicciardini, sulla crisi spirituale
del nostro Rinascimento). Negli ultmi suoi
anni, tuttavia, credette di vedere nella scienza la soluzione dei
problemi. Di contro a Del Noce,
considerava inarrestabile e positivo il processo di unificazione del genere
umano che il progresso scientifico sembrava garantire e favorire, imponendo un
ripensamento di tutti i valori, anche religiosi. L’elemento distruttivo della modernità,
magistralmente colto invece da Del Noce ed esploso drammaticamente in questi
nostri u-ltimi tempi, sembrava sfuggirgli completamente.
[3] Il “libertinismo erudito”
fu particolarmente forte in Francia, nutrendosi dello scetticismo filosofico
ivi fiorito. Ma lo troviamo, per
esempio, anche nel Regno di Napoli, sul tronco robusto della polemica
anticurialista dei ceti colti napoletani
(Vedi: Salvo Mastellone, Pensiero
politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, G.
D’Anna, Messina-Firenze, 1965, in particolare il cap. settimo, pp. 177-196).
[4] Karl Marx, Frühe Schriften, hrsg
von Hans-Joachim Lieber und Peter Furth, Zweiter Band, WB, Darmstadt, 1971,
rispettivamente p. 838 e p. 2. Nel
termine Aufhebung c’è l’idea dell’abrogare e por fine a una certa realtà,
magari conservandone qualche elemento. Il verbo aufheben significa sia
conservare che eliminare. Vernichtung esprime invece l’idea
dell’annientamento totale, della distruzione che non lascia assolutamente nulla
in piedi. Ma i due significati possono
concorrere. Aufhebung è anche termine
tipico di Hegel, spiegato nella Grande Logica (Wissenschaft
der Logik, hrsg von Georg Lasson, Meiner, Hamburg, 1963, Erster Band, p.
94) e si rende in genere con “superamento”, vocabolo controverso, con il quale Hegel
voleva indicare il passaggio da una fase della storia (dello Spirito) ad
un’altra, nuova ma che avrebbe “conservato” la sostanza di quella precedente, innalzandola
ad un grado più alto nella coscienza di sé di un popolo. Ma qui Aufhebung non è usato nel senso
particolare di Hegel. Né Marx né Engels, per temperamento spiriti
beffardi, gaudenti e “puttanieri” (soprattutto Engels, raffinato libertino),
facevano concessioni all’omosessualità che anzi, come risulta dal loro epistolario,
disprezzavano e dileggiavano. Ma la
famiglia, per loro quintessenza dell’ipocrisia borghese, non si doveva
conservare, sostituita in qualche modo dal Collettivo, nella futura società
comunista: essa andava semplicemente “abrogata”. Naturalmente, una volta conquistato il
potere, i Bolscevichi dovettero fare i conti con la realtà e pensare a
conservare e aiutare le famiglie, ancora del tutto tradizionali, soprattutto
quelle proletarie e contadine, anche per ripianare le perdite umane spaventose
provocate dalla I gm e dalla guerra civile. Trotskij faceva l’elogio dell’istituzione
familiare, fondamento anche della nuova società socialista, e Stalin premiava
le madri “proletarie”, quelle che facevano tanti figli, anche se era poi soprattutto
il Partito a prendersi cura di loro nelle sue innumerevoli organizzazioni
mentre il diritto all’aborto era in teoria riconosciuto, per coerenza
ideologica. Secondo i maligni, lo
esercitavano più che altro le mogli e le amanti dei funzionari del Partito,
nelle cliniche riservate alla Nomenklatura.
[6]
Op. cit., p. 3/8.
[7]
Op. cit., ivi.
[8] Citato dal sito Corrispondenza
Romana, che riprende un articolo di Giuseppe Rusconi, apparso sul
blog Rossoporpora il 26 luglio 2020, col titolo : Legge omofobia:
ancora [non] c’è, ma è come se ci fosse già, p. 3/4. Mi sono servito anche di Manuela Antonacci, Lizzano,
un anticipo del regime Lgbt voluto dal Ddl Zan, sul blog: La Nuova
Bussola Quotidiana, del 16 luglio 2020.
[10] Tutte le notizie sulla
situazione scozzese provengono da un articolo di Dorothy Cummings McLean, Owning
a Bible could be a ‘hate crime’ under proposed Scotland law on ‘inflammatory
material’, apparso sul blog LifeSiteNews del 30 luglio 2020, pp. 1-4.
[11] “Transgender (or trans)
persons – that is, persons who identify with a
gender different from the one assigned to them at birth” (Sven C.
Mueller, Ph.D., Mental Health Treatment Utilization in Transgender
Persons: What We Know and What We Don’t
Know, ‘American Journal of Psychiatry’, 177, 8, August 2020, p. 657.
Edizione on line). Si tratterebbe di un
“orientamento sessuale” opposto a quello che appare dalla natura, maschile o
femminile, del soggetto che crede di averlo, frutto appunto di
auto-convinzione. Ma le cose non
sarebbero nemmeno così semplici. “L’orientamento sessuale differisce
enormemente fra i transgender. Mentre
gli studi più vecchi si sono concentrati su persone che si identificavano con
il genere opposto a quello ricevuto per nascita, nuovi studi hanno cominciato
ad includere anche le persone di genere non binario o queer [gender
nonbinary or genderqueer]. Costoro
sono soggetti che possono identificare se stessi sia come simultaneamente
maschio e femmina, o in nessuno dei due, o in differenti generi in tempi
diversi, ragion per cui potrebbero essere descritti come persone non
identificantesi con il concetto binario
di mascolinità e femminilità. In alcuni,
l’orientamento sessuale può mutare durante la transizione di genere.” (op.
cit., p. 658). Che queste definizioni ulteriori facciano
chiarezza, non si potrebbe tuttavia dire, dal punto di vista dell’uomo della
strada, quando legge che l’orientamento di alcuni transgender sarebbe nel senso
di considerarsi maschio e femmina nello stesso tempo o di non considerarsi né maschio né femmina. Se maschio e pure femmina, cosa allora, un indefinibile
ibrido? Se né maschio né femmina, cosa:
un non-essere? Qui si ha
l’impressione di trovarsi di fronte ad una colossale presa in giro da parte dei
c.d. “genderqueer” (queer vuol dire strano, bizzarro, obliquo) o a
un’anarchia mentale tale da render praticamente impossibile l’elaborazione di
vere categorie scientifiche.
[12] Tutti questi dati sulla questione li ho desunti da un
altro articolo apparso su LifeSiteNews, edizione del 4 agosto 2020, di
Paul Smeaton, intitolato: Feminists
threaten legal action after Scottish government recognizes gender-confused men
as women, pp. 1-2.
[13] Il Caso Reimer,
oggetto a suo tempo di articoli e di un libro, è stato ricostruito in
tempi recenti da un giornalista e pubblicista tedesco, dal quale ho tratto
tutte le informazioni qui riportate:
Volker Zastrow, Gender. Politische Geschlechtsumwandlung [Genere.
La politica dell’inversione dei sessi], Waltrop und Leipzig, 20103,
di pp. 58, pp. 35-58 per il Caso Reimer. Money si occupava, nella Johns
Hopkins Clinic di Baltimora, di bambini “intersessuali”, detti impropriamente
“ermafroditi”, perché alla nascita non avevano ancora un sesso ben definito,
riscontrandosi una contraddizione tra I loro organi sessuali e il genere quale
risultava dai cromosomi. Money ne
manipolava chirurgicamente gli attributi virili, anche ricorrendo alla
castrazione, e poi si sforzava di trasformarli in femmine grazie a cure di
ormoni, chirurgia plastica in quantità ed una manipolazione pedagogica
appropriata (op. cit., p. 38).
Propagandava “terapie” che all’epoca erano d’avanguardia, quali il
“sesso di gruppo”, la bisessualità, i “fucking games” tra fanciulli (jeux
d’enfants mimanti la fornicazione, secondo i gemelli Reimer imposti anche a
loro) (ivi, pp. 38-40). Diceva che
“l’identità di genere” era cosa del tutto diversa dal “ruolo di genere”.
Giocando su questa pretesa
“discordanza”, sarebbe stato sicuramente possibile, secondo lui, “fare di un
ragazzo una ragazza e di una ragazza un ragazzo” (ivi, p. 38). A partire dal 1980 Money non menzionò più il
caso Reimer nelle sue pubblicazioni, pur continuando a sostenere la validità
delle sue demenziali teorie, appoggiato dalle femministe. La sua ciarlataneria divenne sempre più evidente,
venne fuori che aveva mentito sul caso Reimer, fu duramente contestato, la
“Gender Identity Clinic” da lui diretta fu chiusa. Si smise di intervenire subito
chirurgicamente sui cosiddetti “ermafroditi”, si cominciò ad aspettare che
almeno raggiugessero la pubertà e dessero il loro consenso (op. cit., pp.
54-55). Money si difendeva con l’argomento assurdo che le critiche erano solo “pregiudizi
antifemministi” e negava l’evidenza ossia che la differenza tra uomini e donne
fosse “geneticamente fissata” (ivi, pp. 57-58). Eppure, osserva Zastrow, “senza
il lavoro precorritore di Money, la Gender Theory ben difficilmente si
sarebbe profilata all’orizzonte del femminismo mondiale, sino a venir adottata
dall’odierno linguaggio burocratico della Repubblica Federale Tedesca”, sui cui
websites si legge che “all’opposto del genere biologico, i ruoli dei generi si
possono solamente apprendere [nella società]”; sarebbero quindi un prodotto
della “cultura” e non della “natura” (op. cit., p. 56).
[14] Alexander Solženicyn, Vivere senza menzogna, in ID., Vivere
senza menzogna, con la Lettera ai dirigenti dell’Unione Sovietica, tr. it.
di Maria Olsùfieva, Mondadori, Milano, 1974, pp. 63-70; p. 66.
[15] Gerard J.M. van den
Aardweg, La scienza dice NO. L’inganno del “matrimonio” gay, 2015,
tr. it. di Antonio Marcantonio, con Presentazione
di
Paolo Pasqualucci, Solfanelli, Chieti, 2016, pp. 32-33. Corsivi miei. Sul “golpe” che nel 1973 provocò la
cancellazione dell’omosessualità dall’elenco delle patologie, vedi il medesimo
autore, pp. 34-35.
[16] Steven Rose, Lifelines. Life Beyond the Gene, 1997, ediz.
interamente riveduta, Vintage, London, 2005, pp. 210-211; pp. 288-291. A p. 211 l’Autore cita i nomi di altri due
scienziati che condividono le sue sferzanti critiche. Per i tentativi scientificamente
inconsistenti agli inizi degli anni Novanta del XX secolo di trovare il
“cervello gay” dall’analisi di reperti cerebrali di uomini morti di Aids,
pubblicizzati in libri di cassetta, con titoli accattivanti del tipo: The Sexual
Brain, o addirittura il “gene gay”: pp. 289-291. Precise e puntuali critiche ai metodi
scientificamente insufficienti di queste pretese scoperte del “gene gay” o del “cervello gay”, si trovano anche in: Gerard
J.M. van den Aardweg, Selbst-therapie von Homosexualität. Leitfaden für Betroffene und
Berater, Hännsler,
Neuhausen/Stuttgart, 1996, il paragrafo: Homosexualität in den Genen? Im
Gehirn?, pp. 34-41.
[17] Brief Amicus of Dr.
Paul McHugh in Support of Respondents, Cockle Law Brief Printing Co.,
diffusa in rete a cura della American Bar Association www.supremecourtpreview.org., di
pp. 29 di testo, precedute da XI pp. con l’indice e la bibliografia. I
“respondents” o convenuti in giudizio erano i governatori del Tennessee, del
Michigan, del Kentucky, i quali si opponevano alle illegittime richieste
“matrimoniali” dei gay, che li avevano pertanto citati in giudizio presso la
Corte Suprema.
[18]
Brief Amicus Curiae, cit., p. 2.
[19]
Op. cit., pp. 2-3.
[21] Op. cit., p. 11. L’Autore
menzionava a sostegno anche “altri studi a livello nazionale” sul tema (op.
cit., pp. 11-12).
[22]
Op.cit., pp. 15-17.
[23]
Op. cit., p. 19. Cinquant’anni di
ricerche in questo senso non sono approdati a nulla (op.c it., pp. 19-20)..
[24] Op. cit., p. 21. Le stime provenivano da un noto Istituto
specializzato dell’Università della California (UCLA) ed erano frutto della media effettuata su cinque
recenti studi sulla popolazione (op. cit., p. 26).
[25] Op. cit., p. 27. La
“castità” va qui intesa come semplice astinenza dai rapporti sessuali, di
qualunque tipo, non come virtù cristiana o comunque valore morale.
[26] Sul punto, vedi: Gerard
J.M. van den Aardweg, La scienza dice
NO. L’inganno del “matrimonio” gay, cit., capp. 1-4 e le pubblicazioni
dell’Autore citate nella Presentazione di questo stesso volume.
[27] Paul McHugh, Transgenderism:
a pathogenic meme. Gender dysphoria
should be treated with psychotherapy, not surgery, 18 giugno 2015, www.mercatornet.com/articles/view/transgenderism-a-pathogenic-meme,
di tre pagine; p. 1.
[28]
Op. cit., pp. 1-2.
[29]
Op. cit., p. 1.
[31]
Op. cit., ivi.
[32]
Op. cit., p. 3.
[33] Op. cit., pp. 2-3. L’Autore precisava inoltre: “In due Stati [dell’Unione] un medico
che analizzasse la storia psicologica di un adolescente transessuale alla
ricerca di una possibile soluzione dei suoi conflitti, potrebbe venir cancellato dall’Albo
dell’Ordine dei Medici e così impedito di esercitare.” Vale a dire:
la legislazione di questi due Stati considerava r e a t o cercare di guarire con i metodi
assolutamente corretti della psicoterapia un adolescene resosi “transessuale”.
[34] Su questa decisione della
Suprema Corte USA, vedi: Martn Bürger, SCOTUS writing transgenderism into law the ‘Roe v.
Wade of religious liberty’- ‘Bostock is no joke, and it lays bare the moral and
intellectual bankrupcty of the conservative legal movement’, LifeSiteNews, 8/13/2020, pp. 1-5. La maggioranza è stata di 6 a 3, poiché uno
dei giudici supposti “conservatori”, fatto nominare da Trump, ha votato con i
“liberals”. Questa sciagurata decisione
permette a chi lo voglia di far ripartire la politica obamiana delle toilettes
con i tre simboli: donna, trans, uomo.
[35] LifeSiteNews, del 20 agosto 2020, articolo di
Doug Mainwaring, Trump: ‘My great honor’ to be called ‘the most pro-gay
president in American History’, pp. 1-4.
[36] Lo studio è apparso sulla
rivista The New Atlantis : A Journal of Technology and Society, 2016. La notizia l’ho trovata in: Doug Mainwaring, Experts
reveal stunning truths about how transgenderism harms children, LifeSiteNews,
25 sept 2018, pp. 1-4. L’articolo riferiva un dibattito, tenutosi a
Washington D.C. nel 2018, coinvolgente due pediatri e psichiatri, uno dei quali
il prof. McHugh, e un professore di scienza politica, sull’incidenza
dell’ideologia transgenderista sui minorenni.
Tra l’altro emergeva che il tasso di suicidi fra i transgender di tutte
le età negli Stati Uniti è spaventoso, addirittura
del 41%, di contro al 5% registrato nell’insieme della popolazione
statunitense.
[37] Per un breve campionario
di testimonianze, vedi: Tony Perkins, After
reading these horror stories of transgender regret, how can you buy Starbucks?, LifeSiteNews, 7 feb 2020, pp. 1-3 – con il
permesso di Family Research Council;
Fr. Shenan Boquet, Is a backlash growing against the totalitarian
horrors of transgender movement?, LifeSiteNews, 9 apr 2020, pp. 1-5 – con
il permesso di Human Life International.
[38] Richard Bränström, Ph. D., John E.
Pachankis, Ph. D. : Reduction in Mental
Health Treatment Utilization Among Transgender Individuals After
Gender-Affirming Surgeries: A Total
Population Study, ‘American Journal of Psychiatry 177 : 8 August 2020, pp. 727-733. Edizione on line. Si tratta della riproduzione con una Correzione
e in appendice sei lettere di accademici che constestavano i dati e il metodo
dello studio, seguíte da una Lettera di risposta degli autori, nella
quale lo studio veniva in pratica ritirato.
L’originale era apparso nel numero di ottobre 2019 della medesima
rivista, sempre on line. L’Università
Carolina è una facoltà di medicina (Karolinska Institutet) considerata
tra le migliori del mondo.
[39] Bränström-Pachankis, Reduction
in Mental Health Treatment etc., cit., pp. 731-733, sezione Discussion. Sul punto vedi anche il blog
dell’Univesità Carolina: www.news.ki.se/transgender-individuals-at-greater-risk-of-mental-health-problems,
del 10 agosto 2020, pp. 1-6; nonché il
citato articolo di Sven C. Mueller, Ph. D., Mental Health Treatment
Utilization in Transgender Persons: What
We Know and What We Don’t Know,p. 657.
Quest’articolo, un editoriale, cerca di salvare, per ulteriori
approfondimenti, gli elementi positivi dello studio, pur dovendone ammettere le
gravi lacune di metodo (gaps).
Tra quest’ultime, il fatto di aver preso in considerazione solo i
tentativi di suicidio dei transgender
trascurando i suicidi
effettivamente “portati a termine” (completed) e la possibile influenza
su di essi della chirurgia di genere (op. cit., p. 658).
[40] Correction to Bränström and Pachankis,
in: Bränström-Pachankis, op. cit.,
p. 734. La traduzione è mia. Corsivi
miei. Riporto i corrispondenti passi
originali, compresa la parte con linguaggio tecnico che ho solo riassunto tra
parentesi quadre: “Upon request, the
authors reanalyzed the data to compare outcomes between individuals diagnosed
with gender incongruence who had received gender-affirming surgical treatments
and those diagnosed with gender incongruence who had not […] the results
demonstrated no advantage of surgery in relation to subsequent mood or anxiety
disorder-related health care visits or prescriptions or hospitalizations
following suicide attempts in that comparison.
Given that the study used neither a prospective cohort design nor a
randomized controlled trial design, the conclusion that “the longitudinal
association between gender-affirming surgery and lower use of mental health
treatment lends support to the decision to provide gender-affirming surgeries
to transgender individuals who seek them” is too strong.” Il significato di “longitudinal
association” è reperibile su Wikipedia.
[41]
Mueller, Mental Health Treatment Utilization etc., cit., p. 657.
[43] La citazione proviene dal
citato blog della Carolina, p. 2, essendo la Lettera dei due co-autori
preclusa alla lettura di chi non è abbonato o non fa log-in. Testo: “In a letter published in the August 2020
issue of The American Jounal of Psychiatry, the study authors write that
the study design “is incapable of establishing a causal effect of
gender-affirming care on mental health
treatment utilization.” Secondo altre
fonti, in questa Lettera i co-autori in sostanza ritrattavano il loro
studio, già peraltro invalidato dalle severe ma pertinenti critiche. Sul punto:
Paul Smeaton, Peer-reviewed medical journal retracts study about
hormones, surgery helping gender-confused patients, LifeSiteNews, 13 agosto
2020, pp. 1-3; p. 2. Sul tema vedi
anche: Steve Warren, Prestigious Psychiatry Journal Retracts Findings,
Admits Sex-Reassignment Surgery Didn’t Fix Mental Health, nel blog: www1.cbn.com/cbnnews/health/2020 etc., pp.
1-3.
[44]
Tony Perkins, After reading these horror stories etc., cit., p. 2/3.
[45]
Op. cit., p. 3/3.
[46] Fr. Shenan Boquet, Is
a backlash growing etc., cit., pp. 1-2/5.
Anche le pillole abortive vengono in genere presentate come se si
trattasse di medicamenti quasi innocqui, che non creerebbero particolari
problemi, solo alcuni giorni di dolori
sopportabili, come quando si hanno le mestruazioni, oltre ad esser
contrabbandate come”legge di civiltà” [sic] come ha detto recentemente il ministro
Speranza nel dare il via libera a questo
strumento di morte nel nostro ordinamento, utilizzabile ora sino alla nona
settimana di gravidanza e senza bisogno di andare in ospedale. Anche qui la menzogna domina sovrana. Bisognerebbe leggere l’esperienza che ne ha
fatto Aby Johnson, ben retribuita manager di Planned Parenthood, passata al
fronte pro-life dopo lo schock provato nel vedere sullo schermo del circuito
interno alla clinica la morte per smembramento con ultrasuoni di un feto che si
agitava disperatamente contro i lancinanti dolori che stava evidentemente
provando. Inizialmente convinta abortista,
sentì un giorno la necessità di fare un “aborto chimico”, che descrisse poi nel suo libro: Abby Johnson, The
Walls Are Talking. Former Abortion Clinic Workers Tell Their
Stories, Ingnatius Press, San Francisco, 2016, chap. 2 Medication
Abortion, pp. 21-29. Presa la
pillola a casa sua, i dolori terribili, le espulsioni dal ventre che non finivano mai, il
malditesta fortissimo, il sudore mortale, la nausea continua, il vomito che le
si incollava addosso, le emorragie che si ripetevano, il planare infine, il
primo giorno, nel tepore della vasca da
bagno, sfinita e semiintontita per risvegliarsi dopo pochi minuti di colpo in
una vasca che era diventata sangue… un calvario i cui disturbi ci misero otto settimane a sparire. Un’esperienza del tutto simile viene
confessata da una donna che ha abortito con la Ru486, in un’intervista a cura
di Andrea Zambrano su La Nuova Bussola Quotidiana del 12 agosto 2020,
intitolata: Ministro, ma quale
civiltà? La pillola killer mi ha cacciato in un atroce inganno. L’inganno, appunto, anche se purtroppo la
sua denuncia non frena quel volano di tutte le corruzioni che è costituito dal
libero aborto a spese dello Stato, nelle sue varie forme.
[47]
Op. cit., p. 2/5.
[48]
Op. cit., ivi.
[49]
Op. cit., p. 3/5.
[50]
Op. cit., ivi.
[51]
Op. cit., p. 4/5
[52]
Op. cit., p. 4/5.