martedì 13 agosto 2019

Anniversari: 13-16 agosto 1920, Battaglia di Varsavia o della Vistola - L'esercito polacco sconfigge l'Armata Rossa obbligandola ad una rovinosa ritirata.



Anniversari:  13 - 16 agosto 1920, Battaglia di Varsavia o della Vistola -  L’esercito polacco sconfigge l’Armata Rossa obbligandola ad una rovinosa ritirata.

Una vittoria decisiva, che ha impedito ai bolscevichi di aprirsi la strada verso Berlino, con l’intento di portar la rivoluzione in tutta l’Europa, Italia compresa.

Il contesto. 
La Polonia era stata ricostituita come Stato indipendente alla fine della I gm, dopo esser stata divisa dalla fine del Settecento tra tedeschi, austriaci e russi.  I suoi confini, come si può capire, non erano perfettamente delineati, in certe zone a popolazione mista.  Sotto la guida del maresciallo Pilsudski, i polacchi avevano combattuto di fatto dal 1918 al 1921 contro russi, ucraini, bielorussi ad est, lituani a nord, tedeschi a ovest, cechi al sud.  La seconda Repubblica Polacca nacque l’11 novembre 1918 ma già da prima truppe polacche avevano combattuto in Galizia contro gli ucraini.  La Galizia occidentale, con Cracovia, era etnicamente polacca nella sua maggioranza, in quella orientale vi erano zone in maggioranza rutene cioè di ucraini cattolici, in maggioranza contadini, che avrebbero voluto unirsi alla Repubblica Ucraina.  Nell’estate del 1919 le forze di Pilsudski combattevano in Alta Slesia contro i corpi franchi tedeschi e nel nord contro i bolscevichi lituani, che avevano occupato Vilnius. 
La campagna più importante fu tuttavia quella contro la Russia Sovietica, dalla primavera del 1919 all’autunno del 1920.  Cominciò con un’offensiva polacca in Bielorussia nel 1919 ed una susseguente verso Kiev, nell’aprile del 1920.  Dopo duri combattimenti i polacchi occuparono Kiev nel maggio.  Ma l’Armata Rossa effettuò una poderosa controffensiva e in giugno li scacciò da Kiev. Parallelamente, Trotski, avendo come comandante sul campo il giovane e brillante generale Michail Tukacevski (poi fatto fucilare da Stalin nel 1937 durante il Grande Terrore), iniziò una rapida avanzata in Bielorussia (Minsk) e nell’Ucraina occidentale, senza tuttavia riuscire ad infliggere ai polacchi una sconfitta decisiva. Lenin vide immediatamente la possibilità di abbattere il “governo borghese” della Polonia e ordinò di puntare su Varsavia.  Nell’estate del 1920 mise anche in piedi un governo fantoccio  (La Repubblica socialista sovietica polacca, con a capo il conte polacco Felix Zerzinski, il sanguinario capo della Polizia segreta bolscevica) per amministrare i territori polacchi al momento occupati.  Questa “Repubblica sovietica polacca” durò tre settimane e fu “governata” da un treno armato che pendolava tra Smolensk e Bialistok, in Bielorussia.  La guerra si svolgeva su fronti molto estesi, i bolscevichi, in particolare, utilizzavano treni armati per installarvi i loro comandi, in modo da renderli estremamente mobili.
La guerra fu feroce, atrocità furono commesse da entrambe le parti, contro soldati, civili, minoranze.  All’inizio di Agosto, i russi erano in prossimità dei sobborghi di Varsavia.  Come aiuto dall’Occidente i polacchi avevano avuto solo una missione militare francese e un piccolo contingente francese, che portò però qualche decina di carri armati, comandato dal generale Maxime Weygand, nel cui Stato Maggiore c’era un giovane ufficiale di nome Charles de Gaulle. I diplomatici occidentali lasciarono la città, prevedendo imminente la sua caduta. L’attacco bolscevico cominciò il 13 agosto ma il 16 un contrattacco molto ben congegnato da Pilsudski, celebrato dipoi dai polacchi come “il miracolo della Vistola”, irruppe da sud-ovest nelle  linee bolsceviche, difese in quel settore da forze minori, che furono subito travolte, costringendo l’Armata Rossa a ritirarsi in grave disordine. Lenin chiese e ottenne un armistizio. La pace si ebbe con il Trattato di Riga, 18 marzo 1921, con il quale la Polonia ottenne dei vantaggi, acquisendo la Bielorussia occidentale e parte dell’Ucraina occidentale (territori poi ripresi da Stalin, prima d’accordo con Hitler, quando li occupò una prima volta nel 1939 senza colpo ferire essendo la Polonia già disfatta dai tedeschi – una perfetta pugnalata alla schiena, non come quella finta di Mussolini alla Francia, preavvisata da tempo di una nostra entrata in guerra solo “politica” per sedersi al tavolo della pace che il Duce riteneva erroneamente ormai prossima – e infine una seconda volta, dal "Padre dei popoli", con la vittoriosa offensiva finale del suo esercito nel 1944).[1]
Come mai la potente Armata Rossa fu sconfitta dal meno forte, anche se molto determinato, esercito polacco?  I bolscevichi erano ancora impegnati nella  guerra civile, che tuttavia stavano vincendo, provocata da loro con il colpo di Stato con cui avevano preso il potere, il 7 novembre 1917, contro il governo in carica, nato dalla abdicazione dello zar e dalla rivoluzione del marzo precedente.  Questo governo aveva provveduto alla elezione di una assemblea costituente di tutta la Russia, nella quale il partito di Lenin era netta minoranza.  In Crimea c’era ancora una forte armata di “bianchi”, comandata dal barone Wrangel.  L’ordine di Lenin di concentrarsi a Nord per puntare su Varsavia, fu eseguito di malavoglia e con ritardo dai comandanti del fronte sud-ovest e da Stalin, commissario politico al seguito. Essi si attardarono nella fallita conquista di Leopoli, a circa trecento km a sud di Varsavia.  Per cui l’esercito comunista non riuscì ad effettuare la necessaria concentrazione delle forze nel punto decisivo, cosa fondamentale in guerra.  Le forze bolsceviche che  assediavano Varsavia a semicerchio provenendo da est, erano deboli nella parte sud del loro fronte a causa del mancato arrivo delle armate che si erano bloccate davanti a Leopoli. E qui penetrò la controffensiva di Pilsudski, con movimento aggirante da sud-ovest verso nord-est, costringendo l’intero fronte a ripiegare e malamente.  L’Armata Rossa era inoltre lontana dalle sue basi, con le vie di comunicazione molto allungate, vittima del logoramento tipico delle avanzate veloci.  Sempre comunque una forza di tutto rispetto.  I russi avrebbero dovuto attaccare prima che i polacchi potessero raggrupparsi nella zona attorno a Varsavia.  Ma non ci riuscirono.  I combattimenti durarono complessivamente dal 12 al 25 agosto, ma il ciclo decisivo fu dal 13 al 16.  Il 20 i russi cominciarono a ritirarsi in massa e nel caos e Lenin dovette chiedere un armistizio, come si è detto.[2]  Vanno considerati anche la determinazione e il valore dei polacchi, che si battevano per non esser ancora una volta invasi dal nemico ereditario, per di più ora comunista.  
  
I grandiosi piani bolscevici per la rivoluzione in Europa, frustrati da quella sconfitta.
Vedendo le cose dal punto di vista di una corretta teologia della storia, dobbiamo dire che la Madonna di Czestokowa ha indubbiamente protetto la Polonia. Ad essa, su invito dei vescovi polacchi e con la benedizione papale, si rivolsero in quei giorni, impetrando il suo soccorso, i Santi Rosari di milioni di polacchi. Ma la Santissima Vergine ha protetto anche tutti noi, Italia compresa, ben ancora nel mirino dei progetti di espansione mondiale dei rivoluzionari moscoviti.
Consideriamo, infatti, gli obiettivi di Lenin, ricostruibili anche dai dispacci che si scambiava con Stalin, commissario al fronte, oltre che dalle sue dichiarazioni pubbliche all’assemblea della II Internazionale, tenutasi in giugno a Mosca.  Lenin era convinto che l’avanzata dell’Armata Rossa avrebbe fatto sollevare le masse operaie in suo appoggio, provocando la rivoluzione proletaria in tutta Europa.  In Polonia però non successe, gli operai si arruolavano volontari per combattere l’invasore russo, nemico nazionale.  Ma che la rivoluzione dovesse essere mondiale, ciò era un dogma per i bolscevichi e soprattutto per Lenin.  Essi si sentivano sempre gli eredi dei giacobini: come costoro avevano esportato in tutta Europa la rivoluzione borghese sulla punta delle baionette, così ora l’Armata Rossa esportava quella proletaria e comunista.  Lenin pensava ad una futura ma imminente Federazione Socialista Europea includente la Germania, sotto tutela russa, evidentemente.[3] 
Il progetto di espansione rivoluzionaria di Lenin deve considerarsi assai meno utopistico di quanto si potrebbe credere.  La Germania era sempre in una situazione rivoluzionaria e aveva un partito comunista molto forte.  In Italia si era ancora nel pieno del biennio rosso, occupazioni di terre e scioperi a sfondo rivoluzionario si succedevano, e proprio a fine agosto di quell’anno 1920 sarebbe iniziata l’occupazione delle fabbriche, nell’aria da tempo. Anche l’Ungheria era scossa dal terremoto rivoluzionario comunista.  Gramsci, che stava con altri per fondare il Partito Comunista, stava lavorando attivamente ad uno sbocco rivoluzionario in Italia.  I documenti emersi dagli archivi sovietici dopo la fine del regime, confermano che ancora nel 1922 e sino al 1925 Mosca era intenta ad organizzare la rivoluzione in Italia, nell’ambito della rivoluzione mondiale, convinta di poter ottenere dei risultati.  
Nella primavera del 1922, rapporti segreti bolscevichi sulle prospettive della Rivoluzione mondiale “si legavano innanzitutto agli sviluppi in Italia, in Germania, in Polonia.  In qualità di forze di combattimento, si prevedeva di usare in primo luogo “la decisa gioventù rivoluzionaria”.  Si proponeva di mandare in Italia, in Germania, in Polonia, attraverso canali clandestini, responsabili militari e politici che avrebbero dovuto organizzare le basi per lo stoccaggio di armamenti e per l’addestramento militare delle formazioni di combattimento.  In Italia si puntava non solo sui comunisti, ma anche sugli anarchici”.  I tre Paesi summenzionati erano considerati all’avanguardia nella rivoluzione mondiale, quanto a possibilità di attuarla. In Polonia, nonostante il grande patriottismo c'era un forte movimento operario. Un altro rapporto segreto, del 1925, ci informa che il PCI possedeva un’organizzazione militare autonoma in Francia, da quattordici a diciottomila militanti, di cui circa diecimila nella zona di Parigi, pronta a compiere incursioni in Italia.  Sempre in Italia, un’altra relazione segreta ci informa che, ancora nel 1925, “la struttura militare del partito comunista era attiva all’interno di due associazioni di ex combattenti, in particolare ‘Italia libera’.  Dalla relazione deriva che dei venticinquemila reduci della Prima GM iscritti a ‘Italia libera’, cinquemila erano comunisti. L’ala sinistra dell’organizzazione programmava un’insurrezione e aveva contatti nell’esercito. Anche nell’altra associazione, chiamata ‘Ex combattenti’, si era formata una frazione comunista.”[4]
Il fascismo al potere, dopo aver vinto la guerra sulle piazze, iniziata (non bisogna dimenticarlo) dalla sinistra rivoluzionaria, stroncò e disperse gradualmente l’organizzazione clandestina comunista, facendo fallire i piani di Mosca.  È un fatto che non possiamo negare, piaccia o meno.  Ma prima ancora, la vittoria dei polacchi attorno a Varsavia aveva rappresentato un evento decisivo, nell’arrestare la marea atea e rivoluzionaria.  Quella vittoria oggi celebriamo, con cuore grato ai combattenti di allora e in devoto ringraziamento alla Provvidenza che li ha condotti alla vittoria.  Che essa possa aiutare l’Italia e l’Europa nelle prove sempre più difficili che le stanno scuotendo, nel respingere (come già in passato) la marea dell’invasione musulmana, nel confondere tutti gli artefici del disordine morale e civile, interno alle nostre società, che sta rendendo quell’invasione possibile.  
Paolo  Pasqualucci
13 agosto 2019
[Fonte: iterpaolopasqualucci.blogspot.ie]   



[1] Per tutti i dati sul conflitto russo-polacco, tranne il mio commento finale sull’azione di Stalin, vedi:  Robert Gerwath, The Vanquished.  Why The First World War Failed to End, 1917-1923, Penguin,  2017, pp. 194-195.
[2] Per questi dati sui movimenti dell’Armata Rossa, vedi:  Robert Service, Stalin.  A  biography, Pan Books, 2010, cap. 16. The Polish Corridor, pp. 175-185.
[3] Op. cit., pp. 178-181.
[4] Aleksander Kolpakidi e Jaroslav Leontiev, Il peccato originale: Antonio Gramsci e la fondazione del PCd’I, in:  Segio Bertelli, Francesco Bigazzi (a cura di), P.C.I.. La storia dimentica, Mondadori, Milano, 2001, pp. 25-60; pp. 37, 48, 52.