Crisi della
Chiesa – P. Pasqualucci: Pieno e
incondizionato sostegno alla denuncia e alla battaglia di mons. Carlo Maria
Viganò --- Adesione totale all’Appello ‘Osi, Monsignore!’ del prof. Roberto De Mattei.
Non
sono state molte, finora, le prese di posizione a favore della drammatica e
perfettamente documentata denuncia, provocata dall’esplodere dello scandalo
McCarrick, dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, il 22 agosto 2018: un vero e proprio atto d’accusa contro Papa
Francesco e alcuni cardinali. Egli si
fece coraggiosamente interprete del grido di dolore delle anime per l’inettitudine
e latitanza dimostrata finora da Papa Francesco di fronte alle “reti
omosessuali” da tempo penetrate nella Gerarchia, “ormai diffuse in molte
diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc.”; le quali “agiscono coperte dal
segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e
stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando
l’intera Chiesa”[1]. Queste “reti”, aggiungo, sono, a quanto mostrano
le cronache, in particolare negli Stati Uniti, diffuse anche nella componente
femminile della Gerarchia ecclesiastica.
I.
Sulla
scia e a conferma della denuncia di mons. Viganò, P. David Marsden SCJ,
professore di seminario, ha inviato nel settembre 2018 una Lettera Aperta
ai vescovi dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia, denunciando la
situazione di un Seminario vicino a Birmingham, dal quale era stato licenziato
perché aveva pubblicamente sostenuto che individui con tendenze omosessuali non
potevano essere ammessi al sacerdozio, in ottemperanza del resto alla dottrina
perenne della Chiesa, ribadita alcuni anni fa da Benedetto XVI. Invitava accoratamente i vescovi ad
intervenire, a rompere il clima di omertà che domina oggi nella Chiesa in relazione
a questo grave problema, clima che permette a rettori di seminari e vescovi di
far entrare nel sacerdozio persone con evidenti inclinazioni omosessuali. Il coraggioso sacerdote concludeva la sua
lettera nel seguente modo:
“Nell’estate
del 2016 sono stato costretto a dimettermi dal St. Patrick’s College, Maynooth
[vicino a Dublino] perché vi si stavano ordinando al sacerdozio individui
apertamente omosessuali. Due anni dopo,
sono stato licenziato dal St. Mary’s College, Ocsott [presso Birmingham] per
aver affermato che gli omosessuali non devono esser ammessi alla formazione
seminariale e al sacerdozio. Viviamo di
certo in tempi bui per la Chiesa Cattolica.
Vi sono ancora dei bravi vescovi, che abbiano l’audacia necessaria a
cominciare quella totale riforma del sacerdozio della quale abbiamo così
urgentemente bisogno?”.[2]
Il
29 settembre 2018, l’Accademia Giovanni Paolo II per la vita e la famiglia,
ha pubblicato a sua volta una Lettera Aperta, intitolata In support
of Archbishop Carlo Maria Viganò, firmata dal suo direttore, l’autorevole
filosofo austriaco prof. Josef Seifert, nella quale si esprimeva aperto ed
incondizionato appoggio al presule per
la sua “chiara ed eroica presa di posizione”, offrendogli, in segno di grande
stima, di diventare membro dell’Accademia stessa. Il silenzio omertoso sui misfatti sodomitici
avvenuti nella Chiesa veniva giustamente bollato come “silenzio malvagio,
silente patto col Diavolo”; silenzio che facilita “nuovi crimini” mentre il
silenzio che, al contrario, certe voci pretendono da mons. Viganò sui misfatti
da lui denunziati, “è il silenzio di pastori che si danno alla fuga,
abbandonando il loro gregge in balìa dei lupi”.
Il prof. Seifert, infine, approvava in pieno la richiesta di mons.
Viganò delle dimissioni cui dovrebbero esser costretti o comunque sentirsi in
coscienza obbligati, “tutti coloro che si sono resi responsabili di silenzi e
occultamenti”[3].
II.
E
vengo infine al puntuale, lucido e trascinante Appello della Fondazione
Lepanto, intitolato: Osi,
Monsignore! del 5 gennaio corrente.
È rivolto ai vescovi ma anche ai sacerdoti affinché reagiscano all’omertà
dominante e rivelino pubblicamente tutto quello che sanno sulle infiltrazioni
omosessuali nella Chiesa. L’Appello ci
ricorda che venticinque anni fa, a Strasburgo, fu votata una risoluzione che
invitava gli Stati europei “a promuovere e tutelare giuridicamente
l’omosessualità”. Questo grave peccato
doveva diventare per il laicissimo Parlamento Europeo un comportamento da tutelare
con legge dello Stato!
Contro
questa deriva morale, si pronunciò subito il Papa allora regnante, Giovanni
Paolo II. La Fondazione Lepanto all’epoca
produsse un documento che stigmatizzava la grave decisione del Parlamento
Europeo e invitava i vescovi ad unirsi al Papa nella condanna “della colpa
morale di cui si era macchiata l’euroassemblea”. Ma i vescovi nulla hanno detto e fatto, da
allora.
“Oggi,
uno dopo l’altro, i principali Stati europei, compresi quelli di più antica
tradizione cattolica, hanno elevato la sodomia a bene giuridico, riconoscendo,
sotto diversa forma, il cosiddetto “matrimonio omosessuale”e introducendo il
reato di “omofobia”. I Pastori della
Chiesa, che avrebbero dovuto opporre un’infrangibile diga all’omosessualizzazione
della società promossa dalla classe politica e dalle oligarchie
mediatico-finanziarie, l’hanno di fatto favorita con il loro silenzio. Perfino ai vertici della Chiesa, si è diffusa
come una metastasi la pratica dell’omosessualità e una cultura detta
“gay-friendly” che giustifica e incoraggia il vizio omosessuale”[4].
Dopo
aver ricordato l’intervento di mons. Athanasius Schneider del 28 luglio 2018
denunciante “l’incredibile scenario” rappresentato da “certi sacerdoti e
persino vescovi e cardinali, che, senza arrossire, stanno già offrendo i grani
d’incenso all’idolo dell’ideologia dell’omosessualità ossia del gender” --- e,
per l’appunto, la drammatica denuncia di mons. Viganò, coinvolgente anche il
Papa regnante, il prof. De Mattei così
conclude la sua presentazione dell’Appello, intitolata Venticinque
anni dopo:
“Queste
voci coraggiose sono rimaste fino ad oggi isolate. Il clima di indifferenza e di omertà che
regna all’interno della Chiesa, ha profonde radici, morali e dottrinali, che
risalgono all’epoca del Concilio Vaticano II, quando le gerarchie
ecclesiastiche accettarono il processo di secolarizzazione come fenomeno
irreversibile. Ma quando la Chiesa si
subordina al secolarismo, il Regno di Cristo viene mondanizzato e ridotto a
struttura di potere. Lo spirito
militante si dissolve e la Chiesa invece di convertire il mondo alla legge del
Vangelo, piega il Vangelo alle esigenze del mondo. Vorremmo sentir risuonare le parole
incandescenti di un san Pier Damiani e di un san Bernardino da Siena, invece
della frase di papa Francesco “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha
buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.
Se il significato di questa frase è stato distorto dai mass-media,
occorrerebbe combattere la strumentalizzazione mediatica con documenti chiari e
solenni di condanna della sodomia, come
fece san Pio V, con le due costituzioni Cum primum del 1 aprile 1566 e Horrendum
illud scelus del 30 agosto 1566.
Invece L’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia di papa
Francesco dell’8 aprile 2016, non solo tace su questo gravissimo disordine
morale ma relativizza i precetti della legge naturale, aprendo la strada al
concubinaggio e all’adulterio.”[5]
III.
L’Appello
è diviso in due parti.
Nella prima, intitolata “Servire la Chiesa” si ricorda ai “monsignori”,
titolo onorifico di vescovi ma anche di semplici sacerdoti, che la loro
“dignità” consiste soprattutto nel “servire la Chiesa”. “Dignità significa consapevolezza di un ruolo
e di una missione, affidata da Dio. Dal
rispetto della propria dignità scaturisce il sentimento dell’onore. La sua dignità, Monsignore, deriva dall’onore
che Lei ha di servire la Chiesa, senza cercare né i propri interessi né il
consenso dei potenti”. La “dignità” del
sacerdote di Cristo non deriva dagli uomini ma sempre e comunque dalla Chiesa.
“La dignità di Monsignore Lei l’ha ricevuta dalla Chiesa, non dagli uomini di
Chiesa e alla Chiesa ne deve dar conto”.
La Chiesa, bisogna rammentarlo, “è la società divina, fondata da Gesù
Cristo, sempre perfetta e sempre vittoriosa, nel tempo e nell’eternità. Gli uomini di Chiesa possono servire la
Chiesa o tradirla”. Ma che significa servire
la Chiesa? “Significa anteporre gli
interessi della Chiesa, che sono quelli di Gesù Cristo, agli interessi
personali”[6].
Ciò
chiarito, il documento fustiga l’atteggiamento timido e pauroso di tanti uomini
di Chiesa d’oggi, inclusi quelli che in privato si lamentano del disastroso
corso impresso alla Navicella di Pietro ma in pubblico non aprono bocca,
giustificandosi con espressioni che si sono sentite tante volte e anche lette
qua e là, nel vociferare della Rete :
“Non possiamo far altro che tacere e pregare. Il Papa non è
immortale. Pensiamo al prossimo
conclave”[7].
Senza
giustamente pretendere di fare il processo alle intenzioni, poiché non spetta a
noi giudicare le coscienze, l’Appello esprime tutta la sua giusta riprovazione, ma sempre
in termini rispettosi, per quella che sembra diventata una vera e propria
negativa regola di condotta: “tutto, ma
non parlare, ma non agire. Il silenzio come regola suprema di
comportamento”; ricordando ai sacerdoti di Cristo che il Giorno del Giudizio
dovranno render conto, “soli dinanzi a Lui”, di tutto quello che avranno fatto
in questa vita, omissioni e silenzi compresi.
Memento quanto mai opportuno, sottolineo, visto che la verità di
fede del Cristo Giudice è praticamente scomparsa dall’insegnamento della
odierna Gerarchia e pertanto dalla fede delle moltitudini, ormai apertamente
professanti l’errore della “salvezza per tutti”, cioè garantita a tutti già
dall’Incarnazione, con relativa scomparsa del Purgatorio e dell’Inferno,
quest’ultimo ridotto a mero simbolo o a luogo vuoto in eterno.
Né
può valere, continua l’Appello, il pretesto che criticare l’indirizzo imposto dal Papa
attuale non è in ogni caso ammesso, dal momento che ciò comporterebbe l’aprire
le porte ad un possibile scisma.
Giustamente il prof. De Mattei ricorda che il fondamento della Chiesa è
Gesù Cristo prima ancora che il Papa.
“Egli è il fondamento primario e divino della Chiesa, Pietro ne è il
fondamento secondario ed umano, anche se divinamente assistito. L’assistenza divina non esclude l’errore né
esclude il peccato. Nella storia della
Chiesa non mancano Papi che hanno peccato od errato, senza che questo
pregiudicasse mai l’istituzione del Papato.
Affermare che bisogna sempre seguire il Papa, senza mai discostarsi da
lui, rinunciando, in casi eccezionali, a correggerlo rispettosamente, significa
attribuire alla Chiesa tutti gli errori che nel corso dei secoli sono stati
compiuti dagli uomini di Chiesa. La
mancanza di questa distinzione tra Chiesa e uomini di Chiesa, serve ai nemici
della Chiesa per attaccarla e a tanti falsi amici per rinunciare a servirla”[8].
L’assistenza
divina alla Chiesa visibile non comporta né l’inerranza personale né l’impeccabilità
del Papa. Ma il dogma dell’infallibilità
papale – osservo a mia volta – viene oggi inteso dai più alla luce dell’errore
dell’infallibilismo, che fa del Papa un soggetto infallibile in tutto
ciò che dice e fa, non solo quando si pronuncia in forma solenne (ex
cathedra) sulla fede e sui costumi.
E un individuo considerato come tale infallibile non può evidentemente
peccare, venendo in tal modo divinizzato.
Inoltre, soprattutto a partire dal Vaticano II, si attribuiscono i
peccati degli uomini di Chiesa alla Chiesa stessa, dimenticando che la Chiesa,
in quanto societas fondata da
Gesù Cristo, è innanzitutto il Corpo mistico di Cristo, del quale il
“popolo di Dio” (la massa dei fedeli) è solo una componente. La Chiesa, pertanto, è sempre incontaminata
mentre la Gerarchia e il popolo dei credenti possono essere o meno fedeli,
essendo costituiti sia di santi che di peccatori. La Chiesa, nella sua essenza, è sempre santa
poiché riposa in Cristo non negli uomini.
Da questa radice divina è sempre venuta nei secoli la forza per superare
le gravi crisi che periodicamente l’hanno afflitta.
Il
Papa rappresenta al massimo grado la Chiesa costituendone l’unità, punto
visibile d’unione tra la Chiesa visibile e quella invisibile: ma egli non è la Chiesa nella sua totalità. Chi pratica l’infallibilismo riduce
tutta la Chiesa alla persona del Papa.
La tradizionale espressione ubi Petrus ibi Ecclesia deve esser
intesa in modo esatto. Il segno visibile
dell’esistenza e dell’unità della Chiesa è costituito dal Papa e dal suo
Primato; in questo senso, il Papa è il luogo (ubi) dove noi vediamo
la Chiesa di Cristo come realtà esistente, di società gerarchicamente
ordinata, rappresentata fisicamente dal suo Capo in terra. Ma ciò non significa che dobbiamo privarci
del nostro intelletto e rinunciare al nostro “ossequio razionale”(Rm 12, 1: “rationabile
obsequium vestrum”). Ossequio dovuto,
che ci obbliga a credere incondizionatamente quando il Romano Pontefice
proclama solennemente un dogma di fede o lo conferma, direttamente o
condannando formalmente l’errore che lo nega;
ma ossequio appunto razionale poiché presuppone sempre in noi
l’uso del nostro libero arbitrio, vulnerato ma non impedito dal peccato
originale. Ragion per cui, ci è
riconosciuto il diritto di sottoporre all’analisi del nostro intelletto tutto
ciò che non è dogma di fede, un diritto che anzi, a ben vedere, è anche un
dovere, com’è vero che il talento che Nostro Signore ha dato a ciascuno
di noi non è fatto per esser sepolto e dimenticato. Si intende, un’analisi sorretta dal retto
volere, dalla volontà buona, ossia operante sempre all’interno delle verità
della fede, per sempre meglio comprenderle e attuarle; insomma, un’analisi
sempre conforme alla Tradizione della Chiesa e agli insegnamenti consolidati
del Magistero, non l’analisi cui si abbandonano gli eretici, avidi di novità,
miranti a fabbricarsi interpretazioni personali delle verità di fede, quasi
sempre inclini a modificare in senso edonistico i princìpi dell’etica
cristiana. Non possiamo accettare
opinioni ed insegnamenti del Papa, sia come dottore privato che nell’esercizio
del suo magistero ordinario, i quali appaiano manifestamente contrari sia alla
dottrina che alla morale cristiana, stabilite entrambe da venti secoli.
IV.
Infine,
l’Appello ribadisce che solo il parlar chiaro, alto e forte, può salvare
la Chiesa da una situazione di frammentazione nella quale già compaiono
atteggiamenti scismatici.
“Ma
lo scisma è divisione e mai come in questo momento della sua storia la Chiesa
appare al suo interno divisa e frammentata.
All’interno di ogni parrocchia, di ogni diocesi, di ogni nazione, è
impossibile definire una regola comune di vivere il Vangelo, perché ognuno fa
esperienza di un cristianesimo diverso, in campo liturgico e dogmatico,
costruendosi la propria religione, in modo tale che di comune resta solo il
nome, non c’è più la sostanza. Quali
sono le ragioni di questa frammentazione?
È scomparsa la stella che indica il cammino e i fedeli avanzano nel buio
della notte seguendo opinioni e sentimenti personali, senza che una voce si
levi per ricordare loro qual è la dottrina e la prassi immutabile della
Chiesa. Lo scisma è provocato
dall’oscurità, figlia del silenzio. Solo
voci chiare, voci cristalline, voci integralmente fedeli alla Tradizione
possono dissipare le tenebre e permettere ai buoni cattolici di superare le
divisioni, provocate da questo pontificato ed evitare nuove umiliazioni alla
Chiesa, dopo quelle già inflitte da papa Francesco. Per salvare la Chiesa dallo scisma, c’è un
solo modo: quello di proclamare la
Verità. Tacendo lo favoriremo”[9].
Quest’analisi
rispecchia fedelmente la drammatica situazione attuale della Chiesa
visibile. C’è una “frammentazione” che
fa già vedere l’esistenza di atteggiamenti di fatto scismatici; quali, ad
esempio, certe prese di posizione di Conferenze Episcopali allorché si rifiutano
di eseguire le direttive romane in certe ben note materie, afferenti la morale
e i costumi e quindi il dogma. O fanno
di testa loro, costringendo poi la Prima Sede a prender atto.
Questi atteggiamenti (sottolineo) si
inseriscono in un quadro di generale anarchia, sempre più diffusa,
iniziatasi con la riforma liturgica promossa dal Vaticano II, che ha introdotto
sciaguratamente il principio di sperimentazione, e quindi la creatività,
nella Sacra Liturgia, contro tutta la tradizione della Chiesa, aprendo in tal
modo la via alle “liturgie fai da te”, acculturate e innovatrici, cui è seguita
fatalmente una “dottrina fai da te”, peraltro soggiacente alla proclamazione
delle novità liturgiche stesse. L’anarchia
risulta dalla crisi del principio d’autorità, provocata dalla collegialità
spuria proclamata dal Vaticano II, quella del famoso art. 22 della
costituzione dogmatica senza dogmi Lumen Gentium sulla Chiesa. La nuova idea di collegialità ha fatto
assumere un ruolo abnorme alle Conferenze Episcopali nazionali, di fatto gli
organi nei quali i vescovi si sentono autorizzarsi a contrapporsi, se del caso,
al Papa in nome del principio che ora il Collegio episcopale è considerato titolare
assieme al Papa suo capo della suprema potestà di governo su tutta la Chiesa,
anche se non può esercitarla senza l’assenso del Papa, che la può all’opposto
esercitare senza l’assenso del Collegio.
Le Conferenze Episcopali – organi che si occupano di tutto e che
decidono a maggioranza, scadendo fatalmente in prassi di tipo parlamentare,
politico – rappresentano una indubbia diminuzione del prestigio
dell’episcopato, dal momento che non possono avere l’autorità del singolo
vescovo governante la sua diocesi, sotto la sua piena responsabilità
V.
L’Appello
si conclude con una breve sezione intitolata Estremo Appello.
“Monsignore,
Lei che gode di una dignità, Lei che esercita un’autorità morale, Lei che
raccoglie un’eredità, di che cosa ha timore?
Il mondo La può aggredire con diffamazioni e maldicenze, i suoi
superiori La possono privare della sua autorità e dignità esterna. Ma è al Signore che dovrà render conto, come
ognuno di noi, il giorno del Giudizio, quando tutto sarà pesato e giudicato
secondo misura. Non ci chieda cosa fare
in concreto. Se vorrà osare, lo Spirito
Santo non mancherà di suggerire alla sua coscienza tempi, modi e toni di uscire
allo scoperto ed essere ‘luce del mondo, città posta sul monte, fiaccola accesa
sul lucerniere’”(Mt 5, 13-16).
Ragionando
in termini solo umani, terreni, questo “estremo Appello” può apparire del tutto
assurdo. Non incita forse a non curarsi proprio di quelle pesanti situazioni
negative che nella nostra vita cerchiamo di sfuggire in tutti i modi: le
diffamazioni, le maldicenze, le persecuzioni di chi ha potere su di noi, la
perdita della dignità? Chi può avere il
coraggio di affrontare tutte queste terribili situazioni, anche se si tratta di
affermare la verità insegnataci da Cristo?
Ma proprio questo è il senso autenticamente cristiano e quindi
autenticamente cattolico di questo Appello.
Esso incita appassionatamente e a gran voce i sacerdoti di Cristo a
ricordarsi chi effettivamente essi sono e a rendere la testimonianza
richiesta loro da Cristo stesso, senza curarsi delle conseguenze sul piano
umano e rimettendosi all’aiuto dello Spirito Santo, fidandosi della Parola del
Signore. All’incitamento ad essere
“fiaccola accesa sul lucerniere” possiamo aggiungere quest’altro: “Dico quindi a voi che siete miei amici: non temete coloro che uccidono il corpo e
dopo ciò non possono far niente di più.
Io vi mostrerò invece chi dovete temere:
temete Colui che, dopo di aver ucciso, ha il potere di gettare nella
Geenna. Sì, io ve lo dico: questo dovete
temere!”(Lc 12, 4-5). E come possiamo
“non temere” l’azione crudele dei nostri persecutori, senza l’aiuto dello
Spirito Santo? Ma il Signore non ce lo
ha esplicitamente promesso quest’aiuto?
“Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle
autorità, non vi preoccupate del come vi difenderete, e di che cosa dovrete
dire, poiché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento come bisognerà
parlare”(Lc 12, 11-12).
Bene
dice dunque l’Appello, nell’incitare ad affidarsi allo Spirito Santo,
che “suggerirà” alla nostra coscienza cosa fare e, aggiungo, come affrontare i
momenti difficili, se non drammatici, che inevitabilmente verranno, per chi
vorrà testimoniare la Verità. E verranno
già dall’interno di questa Gerarchia. E bene dice nel rammentare che il Giorno del
Giudizio (verità oggi colpevolmente offuscata) ad ognuno di noi verrà chiesto
conto della sua vita ed ogni sua azione e pensiero verrà pesato con una
bilancia infallibile, che misura tutto esattissimamente e per sempre. E bisogna aggiungere che per i chierici
infedeli cioè per i sacerdoti di Cristo che sono venuti meno al loro dovere, finendo
col far concorrenza ai figli del Secolo nella ricerca delle vanità loro e del
plauso del mondo, causando in tal modo la sventura di tante anime, la condanna
sarà molto più severa (Lc 20, 45-47). E
chi sarà condannato senza remissione dal Signore, se non colui che avrà tradito
la missione di salvezza alla quale il Signore stesso l’aveva chiamato e
preposto?
“Figlio
d’uomo, io ti ho posto quale sentinella alla casa d’Israele. Quando udrai dalla mia bocca una parola, tu
li ammonirai da parte mia. Quando io dirò all’empio: Tu morrai! Se tu non lo ammonisci e non lo
avverti di abbandonare la sua via perversa, affinché possa vivere, egli morrà
nella sua iniquità; ma del sangue di lui io chiederò conto a te. Se invece tu avrai ammonito l’empio ed egli
non si sarà convertito dal male e dalla sua via perversa, egli morrà nella sua
iniquità, ma tu avrai salvato te stesso”(Ezech., 3, 17-19).
L’empio
che non sia stato ammonito e invitato alla conversione da parte del sacerdote
“morrà nella sua iniquità” ovvero se ne andrà all’eterna dannazione: il fatto
di non esser stato messo in guardia da chi di dovere non varrà come scusante
per le sue colpe. Non varrà,
perché Dio onnipotente sa benissimo che possiamo usare del nostro libero
arbitrio e renderci conto del male che facciamo, nonostante l’influenza
negativa in noi delle conseguenze del peccato originale, che sconnette
continuamente le nostre passioni al nostro retto intendere e sentire. Il grave ammonimento affidato al profeta
Ezechiele deve perciò far riflettere anche tutti quelli, tra i fedeli, che si
trincerano dietro il principio d’autorità (“se lo dice il Papa, se lo dicono i
preti, io che ci posso fare?”) per non criticare in alcun modo il disastroso
andazzo dominante, che fatalmente finiscono con l’accettare. Tutti coloro, preti e laici, che si rifugiano
in questo falso modo di intendere il principio d’autorità, dovrebbero por mente
a quanto ha detto il Signore, pensando evidentemente anche al loro errore: “Vi dico pure: chiunque mi confesserà davanti
agli uomini, anche il Figlio di Dio lo confesserà dinanzi agli Angeli di Dio;
ma colui che mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato dinanzi agli
Angeli di Dio”(Lc 12, 8-9).
Allo
stesso modo delle Testimonianze di mons. Viganò, l’Appello incita
i sacerdoti di Cristo a tornare a guardare il mondo e loro stessi dal punto di
vista autenticamente cristiano, quello della vita eterna, della salvezza
dell’anima perseguita nell’imitazione della Santa Croce, sacrificando ogni
altra considerazione alla testimonianza della verità che viene da Dio.
“Ciò
che le chiediamo, Monsignore, è di assumere un atteggiamento di filiale
critica, di deferente resistenza, di devota separazione morale nei confronti
dei responsabili della autodemolizione della Chiesa. Osi incoraggiare apertamente chi difende la
Chiesa al suo interno e professi pubblicamente tutta la Verità Cattolica”[10]. Impegno, dunque, intellettuale e morale ma
pubblico, dichiarato. Da effettuarsi avendo a modello lo slancio spirituale
sovrannaturale vibrante nel “grido di guerra e di amore che san Luigi Maria
Grignion di Monfort levò nella Preghiera infuocata con le parole
profetiche: ‘Al fuoco! Al fuoco! Al fuoco! C’è fuoco nella casa di Dio. C’è fuoco nelle anime. C’è fuoco fin nel Santuario”[11].
Una
citazione che ai sapienti e saputi di questo mondo potrebbe forse sembrare
retorica. Ma chi può negare che oggi ci
sia “il fuoco” nella Casa di Dio, nelle anime e fin “nel Santuario”? Ma è questo un fuoco che viene da Dio, come
alla Pentecoste, o dal Demonio, fuoco infernale e tenebroso che ha invaso tutto
il mondo e sta divorando anche la Santa Chiesa?
“Lingue
di fuoco come quelle di Pentecoste, bagliori di fuoco come quelli dell’inferno,
sembrano sospesi sulla terra. Fuoco
distruttore, fuoco purificatore, fuoco restauratore, destinato ad avvolgere la
terra, a consumarla e a trasformarla.
Che il fuoco divino divampi prima di quello della collera, che ridurrà
la nostra società in cenere, come accadde a Sodoma e Gomorra. È questa la
ragione dell’appello che Le rivolgo, Monsignore, venticinque anni dopo la
sciagurata risoluzione del Parlamento Europeo, per il bene delle anime, per
l’onore della Chiesa e per la salvezza della società”[12].
Solo
il Fuoco della Fede che rinasce dalle proprie ceneri, tutto purificando in un
rinnovato slancio di universale conversione, può salvarci dal Fuoco del
Castigo, sempre più vicino.
Bisogna
dire che, sì, il Castigo sembra avvicinarsi sempre di più, quale che sia la sua
forma, poiché Papa Francesco non mostra alcuna intenzione di recedere dalla Via
Larga che ha trionfalmente inboccato. Il
Sinodo previsto per il 21-24 febbraio a Roma, “sulla protezione dei minori e
degli adulti vulnerabili”, non risulta aver menzionato nei suoi documenti
preparatori l’esistenza di una questione omosessuale nella Chiesa. Il
colpevole di certi comportamenti aberranti sarebbe un non meglio specificato
“clericalismo”. L’impostazione che è
stata data corrisponde a ciò che il Secolo miscredente e decadente vuole dalla
Chiesa: parlare sempre e solo di “clericalismo”, di “abusi”e di “pedofilia” ma
mai di pederastia o rapporti tra adulti contro natura, anche se le statistiche
dimostrano che l’80% dei casi di c.d. “pedofilia” perpetrati dai preti
concerneva giovani maschi. Che la c.d
“pedofilia” non debba mai esser accostata all’omosessualità, questo è un vero e
proprio dogma del politicamente corretto che ci opprime[13]. Salvo imprevisti, nei quali sempre speriamo
nonostante tutto, il Sinodo di febbraio dovrebbe svolgersi nel rispetto più
completo di questo funesto dogma.
Paolo
Pasqualucci Giovedì 10
gennaio 2019
[Fonte: iterpaolopasqualucci.blogspot.ie]
[1]
Testo come riportato nell’Appello
della Fondazione Lepanto (vedi infra).
[2] Fr.
David Marsden SCJ, Open Letter to the Bishops of England, Wales and
Scotland about St. Mary’s College, Oscott, Birmingham, England, in:
‘Catholic Voice’, 14 Sept 2018, p. 14.
Quindicinale in lingua inglese, collegato all’associazione Una Vox.
[3] Testo ripreso dal sito LifeSiteNews,
traduzione mia. La testimonianza di
mons. Viganò fu resa pubblica grazie alla collaborazione del sito Stilum
Curiae, di Marco Tosatti, sul quale inizialmente apparve, in contemporanea
con altri siti e testate on-line.
[4] Osi, Monsignore! Un appello della Fondazione
Lepanto, https://media.fondazionelepanto.org/osi-monsignore,
p. 1/3.
[6]
Op. cit., p. 2/3.
[7]
Ivi.
[8]
Ivi.
[9]
Op. cit., pp. 2/3-3/3.
[10]
Op. cit., p. 3/3.
[11]
Ivi.
[12]
Ivi.
[13] Sulle teorie pseudoscientifiche diffuse dal
fronte della “omoeresia” all’interno della Gerarchia cattolica, vedi una
recente intervista al prof. Gerard van den Aardweg, psicologo e psicoterapeuta
di fama internazionale: Jesuit
magazine uses ‘gay science’ to deny link between gay priests and abuse
crisis: Psychologist, LifeSiteNews,
Dec. 5, 2018, pp. 1/9.